DEAD SPACE
di @Marco Trabattoni

Se Mirror’s Edge nasce come progetto sperimentale, Dead Space rappresenta la novità maggiormente accessibile con cui Electronic Arts affronta l’autunno 2008. Gli sviluppatori di Visceral Games – all’epoca EA Redwood Shores – traggono ispirazione dal cinema (Event Horizon) e dal videogioco (Project Firestart) per fondere in maniera sanguinolenta fantascienza e orrore. L’obiettivo è quello di generare inquietudine. La maschera che copre il volto del protagonista non parlante impedisce di decifrarne l’espressività: il nostro avatar assume le sembianze del macellaio mascherato di un qualunque slasher movie, capace di compiere atrocità inaudite con apparente distacco. Lo scafandro high tech rimane giustificato dall’ambientazione spaziale, tuttavia non è da escludere un tentativo di usare questo guerriero come maschera evocatrice, nella convinzione che una corazza sia in grado di fare leva sulle masse più efficacemente di un qualunque volto umano.

Dead Space fa uso di quella terza persona ravvicinata sdoganata da Resident Evil 4 e attualizzata da Gears of War per proporre uno sparatutto di sopravvivenza. Proprio come nel titolo Capcom, le velleità avventurose sono accantonate in favore della componente shooter, opportunamente declinata in chiave autodifensiva (non è possibile sparare durante la corsa). Ma laddove Resident Evil 4 richiamava la necessità di mirare agli arti dei nemici per un abbattimento più agevole, in Dead Space lo smembramento rappresenta l’unica via di salvezza. Il gioco impone l’obbligo di brutalizzare gli opponenti, di ridurli a brandelli, di infierire sulle carcasse per accertarsi del decesso. La parola d’ordine è mutilazione. Non è un caso che gli strumenti per offendere, pur comportandosi parzialmente come armi da fuoco, consistano in realtà in armi da taglio del futuro: attrezzi da lavoro – si esplora una nave dedicata all’estrazione mineraria – riciclati per uccidere. Questo è un primo esempio di come Dead Space si serva della fantascienza per implementare soluzioni alternative. Con lo stesso pretesto il giocatore dispone di poteri sensazionali (telecinesi e simili) contestualizzati come ordinaria amministrazione. Potremo così paralizzare nemici per guadagnare tempo o rallentare il movimento di alcuni macchinari per la risoluzione di basilari enigmi. Ma la strumentalizzazione dei prodigi tecnologici futuristici trova massimo impiego nella sintesi dei menù (inventario, mappa, obiettivi missione, archivio documenti) con la apparecchiatura in dotazione: premendo un pulsante verranno proiettate frontalmente al personaggio tutte le informazioni di cui sopra, legittimate da una improbabile olotecnologia di un futuro che non sarà mai.

L’atmosfera opprimente – che cerca dunque di rimanere intatta durante la gestione di armi e bagagli – viene purtroppo penalizzata da una inspiegabile suddivisione in capitoli che scandisce l’avanzamento. In tal modo il giocatore è in grado di decifrare le coordinate spaziotemporali entro quali muoversi, secondo una struttura a livelli che non trova motivo di esistere data l’unica ambientazione del gioco. Ulteriore elemento che disturba quello che dovrebbe essere un clima di puro terrore è rappresentato dalle continue comunicazioni radio da parte dei personaggi non giocanti. Non ci riferiamo solo alla mancata sensazione di abbandono e di solitudine (che avrebbe reso il tutto ancora più agghiacciante), ma soprattutto al contenuto delle comunicazioni stesse, atte a informarci dettagliatamente sugli obiettivi da compiere. Sulla mappa è perfino tracciato il cammino da percorrere, azzerando di fatto la componente esplorativa e producendo una progressione lineare rimarcata dalle continue istruzioni via radio. Eppure la nave spaziale offre un design piuttosto articolato e un’architettura credibile, elementi che purtroppo rimangono estranei al gameplay perché pilotati da una sceneggiatura invadente. Appare dunque superfluo sottolineare lo scarso sfruttamento degli ambienti a gravità zero, la distribuzione troppo concentrata dei potenziamenti, la esigua varietà di situazioni, il gameplay che non evolve nel corso dell’esperienza. In definitiva, il videogioco in esame è un chiaro esempio di semplificazione strutturale: la messinscena cinematografica si scontra con una sostanza ludica viziata da una serie di agevolazioni che affievoliscono il livello di sfida, e pertanto il coinvolgimento.












  Piattaforma Xbox 360
  Titolo Dead Space - デッドスペース -
  Versione Nord America
  Anno immissione 2008
  N. Giocatori 1
  Produttore Electronic Arts
  Sviluppatore Visceral Games
  Designers Paul Mathus, Jatin Patel, Wright Bagwell, Kacper Centkowski, Ben Johnson [....]
  Compositore Jason Graves
  Sito Web www.ea.com
  Sist. di controllo Analogico - Joypad
  Numero tasti 10
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling 3D Scaling
  Formato DVD-Rom
  Numero supporti 1
  Compatibilità NTSC-U/C [Si] NTSC-J [No] PAL [No]
  Genere Third-Person Shooter
  Rarità
  Quotazione 10 €
  OST Sì [Dead Space Original Video Game Soundtrack, 2008, E.A.R.S.]

 

Le tre versioni del videogioco vengono sviluppate su motore Visceral altamente portabile, per realizzare tra di esse generale corrispondenza. Nel corso del 2021, in occasione della “EA Play Live”, Electronic Arts ha dichiarato di essere al lavoro su di un remake di Dead Space a risoluzione nativa 4K per piattaforme Playstation 5, Xbox Series X e Microsoft Windows. Lo sviluppo del titolo, alla luce della dismissione di Visceral Games, è stato affidato al team interno EA Motive, il quale farà uso del Frostbite Engine.