Che
gaiezza ritrovarsi la Konami che vuole bene, festosa, gradiusiana, citazionista,
retrospettiva (introspettiva), giapponese. Ha pure immesso il pesantissimo
joystick da mezzo gallone di euro, quello col display della sala giochi e la
manopola in oro massiccio, a omaggiare Arcadia e i collettori; le si perdonerà
il gesto dacché lo scorritore palesa occasioni di ottima manodopera del II
Secolo d.G. – dopo Gradius – anche coi poligoni in HD a mille e ottanta. Di
interesse questi donnucoli semivestiti. Ognuno estende upgrade semiclassici a
due o più satelliti convergenti o divergenti, a formazione o in semiformazione e
a centratura di cattivi. Il “Gorgeous Mode” si prende l’intero display in 16:9 e
a meno di non impiegare un catodico è la modalità che meglio premia lo Sharp
Quattron uscito l’altro giorno. «Se non è disturbo, succhierei un po’ i
capezzoli di Aoba Anoa. Sembrano dei pertugi al laser». Ed è questa la Konami
che vuole bene: riccamente minorenne, fanatica di scolarette più di quanto lo
era stata in Sexy
Parodius ma sempre onesta nell’edificarsi lo spara e fuggi in qualche modo
equivalente, la traccia subdola che inneggi le avventure spaziali della Vic Viper.
Avrà pure collezionato seguiti e imitazioni, ma Gradius
non si può discutere. Qualunque sia l’oggetto che porti relazione col distruggitore
Konami, quell’oggetto diventa oggetto di culto sfrenato, di speculazioni tematiche e
gadgets, e nei casi adesso frequenti di aberrazione patologica al feticcio può
addirittura ispirare il costume player. Una voce esterna raccomanda di mantenersi a
distanza dalle fiere del fumetto, dai Romics e surrogati onde non incrociare dodicenni scene
queens già ingallate portanti rastrellature alla Aoba Anoa in versione vestitino da
scuola, la stessa che abbiamo scaricato via dlc gratuito e sulla quale si è
fantasticato in modo non proprio innocente. Quindi si resta a casa a sparare in compagnia
di codeste donnine – vi è un intruso di sesso maschile che niuno avrà mai adoperato
– e
null’altro che questo; solo isolandosi da tutto il resto si viene a capo della
sensazionalità scenica, allusiva eppure evidentemente colta di Otomedius Gorgeous,
un clone senza pudori dei Gradius per sale giochi, quelli delle musiche da overdose e le
avventure orizzontali a farsi strisce di nemici e a raccogliere upgrade. I fasti arcade
vengono percorsi in rispetto degli stadi originari dello sparare e scansare, disinnovando,
esplorando schemi già noti da una ventina di anni, ma allo stesso tempo innescando la
scintilla del gameplay a scaglie di granito, per rimanere sulle piste rinascimentali del
1985. La “nuova” Konami vuole arruffianarsi le nicchie che hanno preso l’XBOX
360 per conquistare i cieli di Raiden Fighters Aces, che si era fatto attendere fino al
2007.
Il solo poter pescare tra sei personaggi manga dai capelli
multicolore avrà reso a Konami il budget per la realizzazione del sequel, tra
l’altro già confermato. Ovviamente il diversismo anatomico porta a una effettiva mistione
delle armi montate sugli scafi volanti; sulla base dell’arsenale cambia la barra di
selezione, seppure l’ordine di avvio resti invariato. È tuttavia concesso di scegliere il
selezionamento semiautomatico ad agevolare i manovratori meno esperti, quelli che premono
a caso e che potenziano la sola velocità rimanendo con l’arma primaria e conquistandosi
il game over in mezzo minuto finanche nel moderato livello di difficoltà – questo sì
differente dal Gradius integralista – opzionato da Konami. Otomedius Gorgeous si tracanna
che è una bellezza. I power-up spuntano un po’ ovunque e in caso di collisione li si
ritrova fluttuanti, pronti al riarmo entro cinque secondi. Si annienta in amicizia fin
quando non compaiono i mastini finali: quelli sì bisogna abbatterli spremendo il livello
di attenzione, calcolando gli spostamenti, anticipando i raggi fotonici improvvisi. Nella
sua brillante imperfezione e nel fornire al level design questa discontinuità
sulla ostilità degli omini avversi, Otomedius G. fa ciò che lo sparatutto medio della
Cave non riesce a esprimere dai tempi di Guwange. In altre parole: diverte. E lo fa
mantenendo elevata la qualità estetica degli scenari – quello tra le strade di Tokyo
mostra un dettaglio da microscopia ottica – pur adottando un motore completamente
poligonale. Le musiche euforiche, piene di estrosità pop e rientranze elettroniche sono
le medesime della Konami ingenua degli anni Ottanta, quella di Nemesis. Di Salamander. La
stessa che tiene testa ad R-Type con la testa gigante di Gofer. Ma unicamente per i
giapponesi. Ovvero niente Otomedius G. in versione PAL o americana, e al momento non
sembra auspicabile un futuro interessamento da parte dei distributori occidentali. La
unica via per giocarsi questi shoot ’em up per tre e sessanta, e ultimamente ne stanno
uscendo parecchi, consiste nell’attingere in blocco al mercato
dell’importazione parallela.