Menzionarono
di un gioco di macchine che secondo alcuni poteva confrontarsi con la verità
dell’asfalto: «il gioco è meglio dei giochi della sala giochi, me l’ha detto uno
che l’ha provato a casa dell’amico di un amico su di un PC che funzionava coi
floppy disk Shugart 850 e il modem. Questo mago dei computer si collega ai telefoni
della NASA e se vuole è capace di scatenare una guerra missilistica tra Russia e
Italia». Se non altro, l’argomento era interessante. Lo stesso giorno ci
comprammo “Microcomputer” per vedere se qualcuno ne scrivesse, ma vi trovammo una
recensione della versione Commodore 64 di Power Drift. Ci comprammo Power Drift.
Dimenticammo di indagare su questo gioco di corse del quale manco si conosceva
il titolo finché non si passò all’Amiga e non s’incominciò a frequentare un
tizio brufoloso che si comprava i dischetti pirata dal negozio di
elettrodomestici di Via Piccinni; il gioco era sicuramente lui. Stava esposto
in vetrina sul monitor 1084s col suo cruscotto e il volante che ruotava in curva
con le macchine che arrivavano dal senso opposto di marcia proprio come ci
avevano al tempo raccontato. Si chiamava “Test Drive”.
A dire il vero sì, The Need for Speed svolta
verso una direzione più arcade ma la sua nicchia di concepimento resta Test
Drive. Se ne ottiene testimonianza partecipando del visore interno e assumendone
il picture in picture dell’innesto delle marce – tale e quale al corsista
Accolade – alla partenza, e anche se Scrotum asserisce di ricavare miglior
manova in condizione di allargo è dall’abitacolo che si conduce la precisione
delle traiettorie di aggiustamento della virata digitale in vicinanza del
guard rail, contigui al dosso o al caso in discesa dove è essenziale che si
osservi stabilità all’uscita di un tornante manovrando attraverso controsterzi
brevi per non dover invadere la corsia a favore di una collisione frontale col
furgone verde che perviene; nel ’94 The Need for Speed è un racing
anomalo. Prevede che il duello avvenga nel merito di un procedimento di scuola
guida sul modello americano dell’istruttore munito di Ferrari Testarossa che usi
chiedere al partecipante di concorrere a superamento con la macchina che si
vuole – tra i mezzi disponibili compare una Lamborghini Diablo VT – per entro a
territori montuosi o balneari e a condizione che il partecipante suddetto abbia
a prerequisito la disposizione per l’infrazione stradale comportante il ritiro
e/o la sospensione della patente, l’arresto per resistenza a pubblico ufficiale,
l’arresto per danni a terzi. L’equilibrio non è opzionabile: The Need for Speed è
videogioco fuorilegge d’inseguimento e di inseguitori con la sirena e di
tamponamento a catena, ma non come gli ultimi corsisti di confusione giovanile
in cui fai gli incidenti e ti metti a ridere. Volendo, siamo più sullo stile di
uno Special Criminal Investigation cui si è requisita la pistola.
Il videogioco rivela un’estetica di tessuto
fotografico. Le strutture reggono la diversione verticale e il pop-up conviene
assente anche in asse di boscaglie a vallamento, nel mezzo di una filiazione di
lunghezze visuali che oltre il chilometro e mezzo si prolungano a dispiegare un
mantello di poligoni espulsi con brutalità; la scocca delle auto vorrebbe
deunciare finiture tissurali mancanti a livello di traslucenza, ma è anche
improbabile che il 3DO potesse spingersi oltre la generica simiglianza del
colore in quel manifesto di fine programmazione dell’hardware dove non veniva
risparmiato manco il fusibile. Il videogioco è veloce. PlayStation e Saturn
avrebbero dimostrato che si poteva essere più veloci ancora ma non prima del
’96, quando a esser veloci erano buoni tutti. L’originale è meglio. Al tempo
s’era visto qualcosa di tecnicamente simile in arcade ma giusto grazie alle
superschede di Namco e Sega, e se si deve proprio trovare un cavillo che adombri
anche solo marginalmente il lato visivo del videogioco di EA Canada si potrebbe
intavolare comizio sull’utilità reale dei full motion video di fine gara.
Da studio si è inciso un marchevole suono di campionature ambientali e
sgommatura, di collisione fra elementi e l’esecuzione tecnica delle musiche
altresì convince. A convincere di meno sono semmai proprio le musiche, nel
rimando a certe produzioni hardcore degli anni ’80 di fornicazione tra Ilone
Staller e cavalli. Notevole corsismo. Malgrado
il tempo trascorso, messi di nuovo al volante della Lamborghini Diablo – ma non
della Testarossa, che riconsegnamo a Suzuki – si è deciso che The Need for
Speed è rimasto intonso.