AQUAVENTURA di @Andrea
Chirichelli
I giochi maledetti
esistono. Aquaventura ne è la prova. Oggi la comunità ludica sottolinea la non-esistenza di determinati giochi con
l’appellativo di vaporware, facendo rientrare in questa poco amabile categoria
tutti quei titoli che, per una ragione o per l’altra, nonostante annunci, foto,
presentazioni e tutto l’armamentario tipico della comunicazione mediatico-pubblicitaria
che sta alla base di ogni promozione, vengono rimandati una, due, dieci, mille volte,
salvo poi uscire in sordina o non uscire affatto. Il simbolo odierno del vaporware è
sicuramente Duke
Nukem Forever, in gestazione da quasi dieci
anni, ma molti altri titoli arrivano o sono arrivati sul mercato con ritardi incredibili,
si pensi a Daikatana o
Heart of Darkness. Sono tutte facce della stessa
medaglia, esempio tipico di come, anche nelle aziende più organizzate, qualcosa possa
andare storto.
Aquaventura è stato, sine ulla dubitatione, il simbolo del
vaporware anni ’80. Psygnosis ai tempi, siamo nel 1988, era ormai considerata da
tutti la software house per eccellenza, grazie ai successi ottenuti dalle saghe di
Barbarian,
Shadow of
the Beast e altri titoli di grande successo
di pubblico e critica. L’arrivo della presentazione (IL punto forte di tutte le produzioni
Psygnosis), contenuta su disco singolo e le prime foto del gioco, in 3D, fecero
rapidamente il giro del mondo e diedero vita a miliardi di congetture, attese, speranze.
Come un mostro che si autoalimenta, Aquaventura diventava mese dopo mese il gioco da
avere, la killer application, lo sparatutto definitivo. Però non
usciva. Non che Psygnosis fosse in difficoltà economiche o altro, semplicemente, il gioco
veniva mensilmente rimandato. Dopo i primi due anni di attesa vana solo i fan più
accaniti, che avevano consumato il dischetto con la presentazione (piratato,
ovviamente
) erano ancora in attesa, mentre la maggioranza della comunità amighista
era occupata a tifare per qualche altra megaproduzione in corso d’opera. Nel 1992 l’arrivo
nei negozi di Aquaventura, dopo quattro anni di sviluppo, deluse più o meno tutti.
Finita l’hype da tempo immemorabile, i giocatori si
ritrovarono in mano la stessa, eccellente presentazione, che, va detto, non aveva perso
nemmeno un briciolo del fascino originale, ed uno sparatutto poligonale grezzo e non
particolarmente divertente da giocare. Non un titolo da buttare, però: il fascino
dell’ambientazione era intatto, e, chiudendo un occhio e mezzo sulla talvolta esasperante
lentezza del motore grafico, il titolo Psygnosis si lasciava giocare tranquillamente, con
l’astronave che fluttuava pigramente tra creature inquietanti e misteriose, composte da
sfere unite tra di loro, e fondali di matrice marino-aliena, blastando occasionalmente i
nemici e garantendo alfine quel minimo di pathos e avventura che il giocatore aveva pur
sempre il diritto di pretendere da un titolo che si era fatto attendere per quasi un
lustro. Aquaventura, a suo modo, è un gioco importante nella storia di Amiga: altri
titoli molto hypizzati tradirono le attese, come ad esempio
Federation
of
Free Traders (sbugiardato in copertina da
TGM dell’epoca), ma il passo
falso di Psygnosis fece molto male ai giocatori, che si nutrirono per anni di pie
illusioni, sbavando sulle microscopiche foto centellinate ad hoc dalle riviste
specializzate. Aquaventura non ha lasciato molto nella storia del videogioco: troppo
tradizionale per essere considerato innovativo, troppo deludente sotto il profilo delle
vendite per essere ricordato come best seller, troppo poco ispirato ed
incapace di mantenere fede alle attese per assurgere a culto, status riservato a molti
altri giochi della softeca Amiga. Certe volte le ciambelle non riescono col buco.
Aquaventura è una di queste.
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