ASSASSIN di @Luca
Abiusi
The Evil Midan,
tyrant of the highest order,
lies hidden deep in his underground lair.
Allied security forces demand his reign to cease,
one man is needed, that man is you.
Clamoroso
il parlato d’inizio avventura ma doveva andare così, in quanto dietro
Assassin vi era la mano potente di Psionic Systems, quelli che avrebbero in seguito realizzato
cose tipo Overdrive, e doveva necessariamente essere
un grande gioco codesto assassino per poter essere un gioco sponsorizzato
dal Team17, lei
che grazie a Project-X
aveva alzato il livello di attenzione rispetto alla “scena Amiga” e
resa febbrile l’attesa per ogni suo titolo in fase di sviluppo; per
il momento, gli astanti venivano ripagati con un platform di avvistabile
eleganza, che proponeva i meccanismi che furono dello striderismo di
madre Capcom, quando si raccontava di atleti supereroi che eseguivano
acrobazie
e si attaccavano ai minareti, scalando fino alla summa. Parimenti l’assassino dell’Amiga, nel
Novantadue, è in grado di performare balzi prodigiosi e rampicar pareti, solo che al posto della
scimitarra ottiene di corredo il boomerang bionico nonché tutto uno
schieramento di estensioni da allestirsi
nell’hud, missili, bombe, oggetti letali. Il character design dei
nemici può risultare anonimo. Eppure, sull’Amiga, la forza d’impatto
di Assassin davanti al genere è tale da ridefinirne gli standard.
Ignoriamo invero se Psionic System avesse
preso appunti sul videogioco post-arcadista che si manifesta nel prodotto
finito allorché il
Team17 intervenne in funzione di co-sviluppatore e publisher, e fatto sta
che in Assassin è abbastanza ricorrente la sofferenza che ti provoca per
dire un
Alien Breed, un Project-X.
Le mine anti-assassino dei primi schermi, da evitare coi salti precisi al pixel, dicono
dove andranno a ripiegare le meccaniche e le tempistiche, non proprio giapponesi malgrado
l’asservimento al retaggio capcomiano sulle fasi più dinamiche. Assassin è cattiveria
oggettiva, velocità, fissazione. I cani mordono le caviglie. Per
liberarsene bisogna scuotere lo stick a destra e a manca e si è fortunati se la manopola
non viene via. I pipistrelli danno fastidio al punto che si opterà per farsi
volontariamente ammazzare, e giusto per vedere se poi il gioco riprende da
un altro check point.
La questione dell’assimilazione della cognizione del tempo riveste un ruolo centrale.
Al che, una volta giunti al terminare del countdown sul corrente
quadro si dovrà correre verso il boss, o in alternativa sperare sull’allungamento del minutaggio,
acquisibile sotto
forma di icona bonus. Tra gli arnesi di immediata utilità si registra la voce guida
– che indica la
direzione da percorrere a mezzo frasi campionate –
nonché
il rifornimento di energia, benché sia la prova su strada a dire qualcosa in più
sull’esercizio di conservazione delle icone casuali, che è bene manovrare con parsimonia onde
scansarsi l’errore del tutto e subito e non sprecare le provvigioni serie.
Le armi supplementari, allineate su di una
griglia, aspettano di venire scaricate sul guardiano. Non essere impaziente.
Ti hanno dato il super boomerang. Lo devi potenziare su più livelli, e per
gittata, e per capacità
di penetrazione. L’utilizzo dell’attrezzo avviene se tieni premuto e direzioni col joystick, sicché sia poi possibile colpire un avversario
anche se ti trovi di spalle o in ginocchio. Sulle prime accade di avvertire un
certo disagio, spiazzati dalla limitata potenza dell’arma, ma dal secondo
quadro in poi capisci come l’efficacia di quest’ultima aumenti
proporzionalmente allo schermo conquistato. L’intrattenimento ascende.
Assassin è qualcosa di ruvido, verticale, un titolo concepito per utenze che
ben sanno come si finisce un qualcosa come Strider, a inizio Novanta,
giostrando su atmosfere da
spy movie o realizzando omicidio hardcore,
e quanto ne conseguisse in termini di
assuefazione; quelli di Psionic decidono che è il caso di ancorarsi ai rudimenti,
di andare sul sicuro e concentrarsi sulla tecnica, che difatti si determina
violenta sul grado della manipolazione dei chip
custom di Amiga. La pulizia del disegno impressiona chi sta a
guardare, l’animazione del protagonista è veloce e
perentoria, la colorazione canta, lo scrolling scorre come su
lubrificante e il display
realizza overscan. Allister Brimble, che assieme a Huelsbeck e
Jeroen Tel fu tra i più acclamati musicisti del periodo, si fa carico del
componimento sonoro mettendosi a infiltrare le derive cinematiche per la traccia introduttiva
e ancora il coro ancestrale, nel caso del brano degli high score, che non si
può ascoltare, tanto è bello. Allo stesso modo gli effetti ingame, quasi
completamente sintetizzati, non fanno che ritornare sul talento del nostro. Sinceramente, a un
action game pensato per l’intrattenimento
domestico non avremmo potuto chiedere altro.
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