Un
gioco atipico, misconosciuto, affogato nel mare magnum delle produzioni Amiga,
la macchina da gioco con (forse) la softeca più ampia della storia dei
videogiochi. Una di quelle realizzazioni che sfuggono al grande pubblico, come i
film che escono in poche copie nella grande bagarre natalizia e che però quando
pandori e panettoni sono stati abbondantemente digeriti, sono ancora lì, sugli
schermi. A quindici anni dalla sua pubblicazione, Time Bandit può ancora dire la sua.
Perché, come tutti i giochi semplici ed immediati, non ha solo un glorioso
passato alle spalle, ma un radioso futuro davanti a sé. Time Bandit esce
nell’aprile del 1988 nel periodo di pieno boom del gioiello di casa Commodore.
Gli occhi e le mascelle della maggioranza dei videogiocatori sono giustamente
offuscati dalle meraviglie made in Psygnosis e Cinemaware che occupano pagine e
pagine delle riviste del tempo, ma la piccola e presto fagocitata dal sistema
Microdeal, propone al pubblico smanettone una versione rinnovata e ipertrofica
del vetusto arcade made in Atari Gauntlet, che lascia stecchiti i pochi
coraggiosi che decidono di investire su questa perla di giocabilità e longevità
(see.. magari! In quel lontano periodo si andava tutti dal pusher/pirata di
fiducia).
Time Bandit è un gioco di apparente e sconcertante semplicità: il giocatore interpreta
un novello Guy Pearce che salta di epoca in epoca alla ricerca di tesori e ricchezze,
eliminando mostri e nemici di ogni foggia e cercando di ottenere, in caso di partita a
due, più punti dell’avversario. Ci sono sedici quadri a loro volta suddivisi in base a sedici
livelli di difficoltà, cosa che garantisce al singolo giocatore una modularità ed una
scalabilità nell’approccio alla partita inconsueta e ben accetta. All’interno di ogni
mappa brulicano nemici da abbattere, tesori da scoprire, enigmi da risolvere per
raggiungere chiavi, sbloccare passaggi segreti e così via. In certi casi è possibile
addirittura interfacciarsi con altri personaggi presenti sul terreno, per ottenere
informazioni utili per risolvere gli enigmi o per avere dritte su come superare un
passaggio dannatamente complicato. L’ottima modalità a due giocatori, con condivisione
dell’interfaccia base e divisione dello schermo in split screen, è il simbolo
della cura e della precisione certosina adottata dai programmatori.
Tutti gli elementi che servono sono sotto gli occhi dei
giocatori e due ampie finestre di gioco garantiscono un’azione fluida e priva del benché
minimo rallentamento. Ovviamente, come accade nella maggior parte dei giochi, il
divertimento giocando in coppia con un amico aumenta esponenzialmente, e anche la
longevità sembra beneficiarne. L’aspetto grafico, a suo modo, lasciava basiti: così
come in molti avevano dapprima storto il naso e poi adorato i piccoli ma dettagliati
sprite di Kick Off, così il minimalismo ostentato dalla produzione Microdeal
permetteva al giocatore di apprezzarne gli innumerevoli particolari nascosti e l’accurato
design, che coinvolgeva sia i personaggi che i fondali: questi ultimi, colorati e
brillanti, rendevano ogni partita una gioia per gli occhi. Inoltre i programmatori si
erano giustamente sbizzarriti a ricreare per ogni scenario alcune “chicche” e
situazioni tipiche e coerenti col periodo storico oggetto della partita: nello scenario
romano si aveva a che fare con gladiatori e leoni impazziti, mentre nelle arene
futuristiche erano i robot a dare fuori di matto. Parafrasando il vecchio motto della
compianta Microprose, Time Bandit era “a game easy to learn but difficult
to master” e capace di resistere come pochi altri titoli dell’epoca
alle macerie del tempo e all’obsolescenza. Da recuperare in ogni forma e con ogni mezzo.