Portatore
di tempesta che scuote un Commodore 64 appressante il termine delle sue
conquiste e della sua storia Catalypse atterra, verso il Novantadue. Si
istruisce videogioco termonucleare di armi a satellite e super-upgrade, e il
visore si affolla di strisce al laser urtanti e ritornanti come in
R-Type, ma con un numero superiore e posteriore di strutture di ostilità quali stormi
enormi
di astronavi Armalyte, perché gli otto bit siano anche sedici, diciassette
da quanto Noi si osservi a misurazione di feroci processori Agnus 030 e 040 con emulatori
Atonce inclusi, sicché scultore il Pompili disegnatore di aviazione spaziale
del tremila dopo Cristo Santo che estetiche, ma dai, come hai fatto.
Dovrebbe trattarsi di un hack del motore Cyberdyne Systems, e poi non che
cambi molto, ché il programmatore c’è, e radicale avvisa il suo
esistere a mezzo di assemblaggio di pezzi di pixel e blocchi di blister tutti in
fila a incastro nel tunnel.
La strage degli oggetti per rescindere lo
stress, ma il cannoniere resta villoso su tratta d’nfiltraggio della base
stellare dove se non muovi d’anticipo muori in anticipo, pur restante il
fatto del progressivo armarsi del caccia mitragliere che può ergersi ammassi
di fuochi e realizzare l’uccisione in atto di pestilenza, con l’aggancio di
due pod dipartimentali a movimento da cui ottenere estensione del grappolo
per due unità, in giunzione a eventuale addensamento del plasma aumentato di
sei volte. Sala giochi. Forse anche più di Armalyte, che l’astante si
rammenterà esser stato importatore delle culture dello shooter giapponese,
nelle ere succedenti l’euroshooter di Stavros Fasoulas. E per dunque Catalypse,
salvo dal clamore che s’accompagna al titolo di richiamo, può mirare a
diventare spara e fuggi presidenziale, con un suo entourage di affiliati
conoscitori e reduci invalidi della guerra dell’87/’90 che aveva viste
opporsi Konami, Taito e Capcom su scala interplanetaria, seppure infine a sedersi al tavolo della pace,
e a spartirsi i migliori sesterzi, furono Irem e Seibu.
L’orizzonte che scrolla. Interessante
l’opzione di parallasse, su scala di velocità, a primo schermo, e si può
variare gli attacchi dei nemici via F1, per limitarne lo sparamento;
Catalypse appone l’arte visuale delle scienze dell’interfacciamento
neuronico a 64k che erano state il tributo dei fratelli Rowlands alla scuola
della programmazione in sedici colori, e improvvisamente le bidimensioni s’ingrandiscono animandosi in full frame all’attacco al boss, il quale
è titanico e rivendica il drago, il robot, il bulbo gigante, quando accorre. Il
display fiorisce di perimetri verde-pianta, ma pure di tubature di futuri
siderali e nero-stella, in playfield, come in Delta, per rendere omaggio ai
Maestri. In quanto servito di acume, Pompili allunga. Lo stage arriva a
coprire largo numero di quadri e benché monodirezionale si agghinda di
impalcature e intuizioni, per urgenza d’incidere il travaglio
dell’insenatura di alienazione del luogo, le frontiere di fantascienza
estrema che restituiscono le atmosfere di stratosfera e fluttuazione,
l’avventura oltre lo spazio conosciuto, bye bye pianeta terra. L’elettronica
è adesso questione di culto. Ma ai tempi precedenti le mode underground
di PlayStation era ancora chiptune; ora, Tschögl – ma ugualmente Pompili,
qui i dettagli
– suona le meglio campionature che il chipset potesse largire
a ristrettezza di supporti cassetta e disco e scrive (riscrive) modulazioni
a voci multiple da introdurre a secco durante un qualche sound party in
quel di Amsterdam, fra una settimana, sessione notturna, sostanze, biglietti
omaggio, guest star Jeroen Tel e forse anche Siebold.