Sabato
16 settembre, 1989. Si scruta il faldone dei libri riverso sulla scrivania in
vetro nero, nello studio del padre, di ritorno da scuola, mentre ancora si ha in
circolo i residui dei colori vibranti del coin-op. Doveva essere
Rainbow Islands.
Si volle per questo riportarsi sul luogo della giostra, a recar disfida al
cabinato che se non vai di corsa vien preso d’assedio da schiere di giovini
di pari se non superiore leggerezza. Il candore dell’amicizia. Il
rassicurante chiasso di venti casse che suonano sconnesse il suono del
microchip Yamaha s’è piantato al lobo di destra e non vi è più uscito, ma
tanto vale di restare e di vedere di superare il quadro dei ragni, tronfi di
paghetta che la madre ha anticipata su promessa che il seguente giorno si
sarebbe andati alla messa, vestito nuovo, scarpe in vernice, pettinatura
anni ’50, coppia di gemelli aurei ricevuti in dono alla prima comunione da
lontanissime parentele residenti al nord, nei pressi di Asso. Eppure
l’abbagliante riverbero d’illusioni che un videogioco come
The
New Zealand Story
era ad uso di irradiare avrebbe invero raddolciti
assai più gravosi martiri.
Pur uscito nel 2012, Quod Init Exit
appartiene a quel tempo. Ha gli schermi fissi in cui grufolare contenti, al
saltello, e le cibarie pervengono parallele a velocità variabile da un
qualche macchinario stante ai bordi del display, per cui si lavora sull’idea
dell’inerpicarsi sopra i gradini ch’era stata del notevole Ninjakun
di UPL, sebbene lì si dovesse perlopiù conquistarsi il trespolo, mentre qui
si deve scappare in rapporto a uno schema di ripulitura e di scarico, dopo i
pasti, nella tazza in transito che si deve occupare sulla linea d’arrivo,
ché succede di mancare l’occasione e di espletare al di fuori, e suini
quanto si vuole non sarebbe costume di cui darsi fregio in riunione di fine
stagione al cineforum, dove danno la versione restaurata di Porcile
con fior di dibattimento di post-proiezione sulla poetica pasoliniana e le
poesie di Anne Wiazemsky. Quod Init Exit vuol essere videogioco di
ancoraggio alla radice; il corpo di questa struttura primordiale su cui
Taito ebbe a istruir figliolanza è pertanto restituito alle luci della
restaurazione e può a dir poco riferire, parallelo il crepuscolo del
trattenimento e della ragione ma altressì obliquo al capitalismo di
Resident Evil 6, un sigillo d’opera riconoscibile al tocco, bottone per
saltare, modulo all’italiana o 4-2-3-1 fantasia.
Programmatori, oltreché santi, poeti,
Bastianazzo. Del resto il Bevilacqua s’era già arrivato ammirabile a
sezionarsi le mappature, i dipartimenti in
BOH,
un level design che infiltra ancora lampi di marziale dissezione e
geometrie, di rotazione anche se il Commodore 64 chiedeva un angolo di
visuale più frontale, diciamo uno schermo assente di scorrimento ma che
lesto
esibisse il senso della profondità allo schierare dei lastroni, l’uno
sull’altro a erigere manufatti d’insenature utili alla discesa di quando
si abborda la cresta e i gabinetti traversano al di sotto; ha luogo il
veleno ad alta velocità. Il cui flacone si deve di grazia vedere di scansare
per evitare di realizzare rapido il decrescimento in linfa vitale, sebbene
dopo si può sempre provare a ritornare alla grassezza della torta e del
gelato ma sempre di sveltezza e nel rischio d’ingerire le scorie altre, di
andare a riserva e di non poter che salutare con la zampa per retrocedere
all’iniziale distanza. Poiché la continua è un fatto di superata istanza.
Signora bidimensione. Sul lato delle grafiche trabordanti tinture e graffiti
di fantasticherie e disegno di bambino, colore a tempera Giotto, il
grembiulino in plastica per non macchiarsi di pastello ciclamino, verde
verde, giallo acceso di sole che sorride, irride, Quod Init Exit riconduce
quindi all’abbiccì del platformista situato al levante cui si
vorrebbe esser militanti, non quello in verità trascurabile della Namco che
briga con Bandai, della Capcom senza Mikami, della Taito senza Taito, ma lo
stesso che venticinque anni fa rendeva il mondo un posto più accogliente e
di maggior calore, sul genere che oggi è una bella giornata andiamo in sala giochi ché
hanno messo un nuovo cassone dove sta un bimbo che fa la magia
degli arcobaleni, tipo il gioco delle bolle.