ZERO TEAM
di @Luca Abiusi

Le conseguenze dell’amore per le cose marziali con le proiezioni alla Street Fighter Il. Che stanziano il sovrappiù del clamoroso programma Seibu Kaihatsu del 1993 non riguardante un che di Raiden, né oggetti non identificati che fanno kamikaze-banzai. Ma un picchiatore. Una cosa estremamente tecnica. Vi avevamo messo il dardo a tempo scaduto all’incirca verso il 2000 sempre al Bar della Posta, grazie a uno di questi numerosi cloni ricondizionati per i due giocatori fissi – l’originale Zero Team ne predisponeva quattro – in modo da occupare spazio minore per il fatto ch’era uscita la PlayStation e nessuno più stava a pensare di giocare in multiplayer in sala giochi quando si poteva fare lo stesso a casa con un multitap e Winning Eleven, che non c’entra ma che c’entra, poiché i giuochi del calcio c’entrano sempre. Zero Team voleva rimanere nell’ombra. Ne hanno scardinato il codice solo di recente appresso alle nuove build del MAME portandoci a commozione poiché non avevamo dimenticato quanto il videogioco montasse la distruzione, i fusti che rotolano, i frammenti, metalli che vengono sventrati e che si possono usare tutti, non butta via niente Zero Team.  

Sì d’accordo, si è propensi a dire vestimento anni '90 con tutti i millemila colori che servono a trasportare il classico bidimensionalismo what is love ma il codice, la struttura di sostegno che consente la trasformazione del disegno da disegno a movimento realizza una specie di sinfonia, una cosa come l’Everest della programmazione del videogioco arcade ’93 e successivi, entro il settore del picchiatore con lo scorrimento, sulla via del revisionamento di quest’intellingenza artificiale standard che venti minuti fa spostava i nemici autistici dei mostri sacri Capcom e Data East e che adesso riveste un ruolo di coerenza discreta nel decantare la posizione dello sprite in accordo con quanto viene stabilito sullo/dallo schermo, e si scansa, il nemico, graziato da un riscontrabile coefficiente di autosufficienza quando si rialza e lancia le cose e mica solo questo. Zero Team diversifica lo stile. Per cui si acquista nell’opzione del personaggio corrente una strategia di esecuzione considerabile unica nel ravvicinato, in una meccanica di presa volante che ad esempio “Spin” vedrà eseguirsi a firma di carpiato per esorcizzare l’interruzione di continuità, ché il videogioco è un flusso di acrobazie e mazzate pesanti che si scambiano i complimenti reciprocamente a dirsi che sono belle interessanti, guarda che mossa che ho fatto, hai visto dove ho spedito quel pupazzo di cartapesta eccettera eccetera. La mappa sovviene larga, e non vi è pixel, anche rialzato, che non sia abilmente calpestabile dai quattro.

Indubbiamente, Zero Team taglia. I nemici fanno uso di lance. Queste si conficcano nelle pareti e devono essere estratte perché se ne consegua un eguale usufrutto in questo moto di continuazione che scoperchi la cassa o qualsivoglia scatola potenziale altra a rivelazione di un corredo di utensili estremamente ricco sul lato della capacità di moltiplicare pesci e dolore al cubo, dopo una sequenza di pugni frontali – non per nulla Final Fight Tough, due anni dopo, avrebbe fatto suo il combo system di Seibu Kaihatsu – da collegare a una striscia di colpi terminante in un esageratissimo “shoryuken”. La strategia del contatto non vuol essere banale. Il nemico vede, agisce di conseguenza. All’improvviso si necessiterà d’improvvisazione anche se non al punto di fronteggiare una cpu capace di radunare un esercito di droni Skynet e conquistare il mondo, ché il beat ’em up per diffondere il verbo dell’intrattenimento bisogna dei suoi limiti da sacrificare alla dinamica del pattern, con le sue implicazioni da consumo leggero, le cose che fanno ridere, i cattivi che finiscono dentro i barili, i cattivi che vengono spiaccicati al muro e scivolano, i cattivi che si fanno investire dal rinculo del bazooka, le persone che scappano, le costolette di energia nascoste dentro vasi risalenti alla dinastia Ming. Le grafiche, disegnate col pennino, vedono le barche attraversare il mare da lontano, e piuttosto elevato risulta il numero di fotogrammi connessi al character design, che si meriterebbe un manga da serializzare in quindici volumi. Il videogioco, infine, si distingue per facoltà cooperative superiori nel gestire dieci e dieci antagonisti che vengono lanciati da una parte all’altra dello schermo e suona decorosamente anche, in certe situazioni, ai livelli due e cinque, forse anche sette, accompagnamento con le trombe a indurre uno spartito di mazzate trionfanti.    









 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Zero Team - ゼロチーム -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1993
  N. Giocatori 1/4
  Produttore Fabtek
  Sviluppatore Seibu Kaihatsu
  Designers Tadashi Segawa, Tetsuya Kawaguchi, Kazuki Sekimori, Yoritaka Kasai [....]
  Compositori Reiichi Yamanaka, Go Sato
  Sito Web www.seibu-kaihatsu.co.jp
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Laterale
  Risoluzione 320 x 256
  Formato PCB - V30 System / V33 System Type B
  Emulazione Completa [testato su MAME]
  Genere Beat ’em up
  Rarità
  Quotazione ...?
  OST No

  Il videogioco, mai convertito per ambienti esterni al coin-op, avrebbe nel 1997 ottenuto una rivisitazione su scheda V33 System Type B per due giocatori, con un diverso ordine dei livelli e la decurtazione della sequenza iniziale del rapimento, portante titolo New Zero Team. Nel 2000, una nuova revisione per V33 con due joystick denominata Zero Team 2000 avrebbe ripristinato l’originale cronologia dei quadri e di fatto duplicato il codice del 1993.