FLASHBACK di @Luca
Abiusi
Siccome
sono plenipotenziari figli di cagna i Nostri augelli hanno detto che Flashback
Dreamcast deve mostrare valutazioni non inferiori a trentacinque per far sì che
si dica che questa è nulla di più di una traduzione pixel per pixel di un
videogioco uscito per l’intero ventaglio di console e computer esistenti nel 1992, ritenendo anche ragione perché così
in effetti è, e invece no.
Hai torto, scimmia. Il remake tridimensionale che fecero uscire per Xbox 360 e
PlayStation 3, quello sì che non si poteva guardare ma questo Flashback è un
Flashback
tirato a lucido per essere migliore di quanto non lo fosse
al tempo di Amiga e Mega Drive, anche se dovremmo dire PC MS-Dos assumendo che
il codice utilizzato su Dreamcast sembra proprio derivare dal Flashback che
avevamo provato dall’amico complessato che aveva il 386. Lo si desume dall’introduzione animata estesa e dal colore della t-shirt di
Conrad B. Hart. Che è rossa.
Daniel Lancha, il quale aveva dato prova di
abilità nel trasferire alla generazione HD le grafiche di tale Pier Solar,
realizza qui su Dreamcast un lavoro d’indubitabile precisione sulla
scalatura dell’ex immagine in 320 e rotti pixel, che si estende – e per la
prima volta, da che ci è dato sapere – verso i 640x480 fullscreen con
incorporata possibilità di applicazione di una retina di contrasto lineare. Dal menu
risulta egualmente attivabile l’aspect ratio 1:1, per così reintrodurre il
verticalismo richiesto da Cuisset in fase di prima stesura, verso il 1991.
Risulta tuttavia assente lo zoom in tempo reale. Ma quello c’era solo su
Amiga. Per dovere di completezza, il Flashback Dreamcast consente la
disposizione di
musiche alternative incise su CD e produce una ulteriore stringa di
selezione da cui scegliersi lo stile grafico degli intermezzi animati (se
originali o in CG); come se non fosse abbastanza, una modalità “a 16 bit”,
che poi sarebbe emulazione del versante Mega Drive, viene comunque resa
disponibile allo schermo iniziale. Si rileva in-game una opzione di
salvataggio della posizione su VMU. Opportunità che a ogni modo ci sentiamo
di sconsigliare per non stravolgere il concept design degli schermi,
che prevedono come limite di continuità un coefficiente di conquista del
save point abbastanza scientifico. All’infuori della colonna sonora
scelta – originale o 2017 – si riproduce campionature per tutte le sezioni
aventi dialogo.
Il port è stato evidentemente studiato perché
potesse restituire una immagine pulitissima in 480p su televisori HD muniti di
ingresso VGA, e ciò nondimeno Flashback Dreamcast fornisce il suo exploit con il
segnale RGB, su catodico, con l’intera gamma dei filtri attivati; si avvista qui
un display di tessuti bidimensionali luminosi e lisci. L’alta risoluzione
risulta reale. Lo vedi chiaramente che il gioco si vede diversamente anche
ritrovando attraverso di lui l’identica esaltazione di quando lo si visse per la
prima volta sull’Amiga 2000, tantissimi anni fa, in questo stato di sospensione
che quasi ti portava a convincerti che Flashback fosse meglio di Another World.
Ovviamente non era così ma intanto il giuoco sa orbitare assai bene intorno
all’irreplicabile universo cinematico di Eric Chahi. Istiga il giocatore alter
ego, ancora nel 2017 e probabilmente con aumentato vigore, a intrufolarsi nella
sua fantascienza distopica e a non distaccarsene in ricorrenza d’intercorrenti
situazioni di ristagno motivazionale, ma anzi alimenta la dipendenza trovando
più o meno sempre come districarsi tra operazioni di ricerca, enigmi a
sbloccaggio, fasi stealth e sparatorie frontali di radicale animazione per la
sua narrativa estremamente veloce, estremamente dinamica che vuole che l’umanità
bidimensionale venga effettivamente liberata dall’oppressione dei marziani verdi
verdi. Eppure il racconto, per quanto efficace si manifesti, sarebbe tuttora
superfluo senza questa fluidissima falcata in rotoscope.
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