Sì
ma le collisioni. Se dopo insisti che vuoi parlare del giuoco possiamo anche
farlo ma tra un’ora, o al più tardi domani verso le due in un tavolo di
confronto di cui risulterai commensale unico, per essere sicuri che nessuno sia
lì presente ad ascoltare quello che dici perché ci sono i bambini, e bisogna
farli arrivare alla pubertà. Le collisioni. Ovvero quando un oggetto collide un
altro oggetto ed ecco vedi, giusto adesso ci stavamo facendo una sega su Virtua
Striker 2000.1, che stiamo pigiando i tasti con una mano per tanto di routine di
collisione che trasfondono una sensazione come se di magnitudine, una relazione
programmatica da smaterializzare e diffondere attraverso l’aere bisogna scrivere
e lo faremo, e Dio ci è testimone se non riusciremo di far capire a voi eserciti
di scimmie che quando giocate a Fifa 19 ingoiate la merda, e che il Virtua
Striker del Dreamcast non lo si è scelto così per occupare il tempo, ma
piuttosto per insegnarvi a stare al mondo.
Nel merito di Virtua Striker 2000.1 il segno
della fluenza andrebbe smaltito dietro l’accezione ordinaria della tecnica; si
manifestano al rettangolo istanze di coercizione sull’aggiornamento del
fotogramma, che nella fattispecie si moltiplica sugli omini che fanno il tifo e
portano bandiera, e trovato posto verso il terzo anello, lì quando il visus
risulta complessivo si conclude che la plausibilità calcistica non solo non è
richiesta, ma che anzi sarebbe lesiva rispetto a quest’idea videoludica primaria
ispirata al calcio romantico dei pionieri del videogioco
arcade, quello della SNK, modello di centratura del gesto che sa di traversone a
spiovere, sciabolata morbida.
Il videogioco è un millimetrico collidere tra calciatore e pallone, stop che viene
eseguito plagiando le marzialissime tecniche di motion capture escalate
da Namco in SoulCalibur e colpo di testa in sospensione che avevamo visto fare a
Marco Van Basten verso il ’90 in un match di Coppa Campioni, assist di
Ancelotti, e si verifica una estrema – nonché efficace – sintesi di quanto può
avvenire dentro un campo di calcio in una situazione d’incrocio di due squadre
di alta classifica, da che mai si vede un movimento scoordinato, mai si vedrà un
tiro che non sia illustrazione di grande stile.
Interviene questo sistema ipertelevisivo di
inquadrature che scarrella in modo obliquo a demarcare l’attenzione dell’attore
che guida il pupazzo, che sai sempre dove si trova il pallone e come e quando
intervenirvi a misura di conclusione o spazzamento; a seguito di una effrazione,
il regista virtuale si sposta a zoomare in terza persona diritto sulla sfera,
per esaltarne le traiettorie allorché direzionata verso la porta pur rimanendo
sullo spazio in corso di respinta, a riavvolgere sinuosamente codesto flusso di
azioni iconograficamente rivoluzionarie che non potranno scollegarsi da questo
moto d’inerzia iconoclasta distruggitore dell’intero agglomerato di simulazioni
di pallone immesso sui correnti mercati domestici. Virtua Striker 2000.1 diventa
quindi un calcistico necessario per questioni strettamente culturali primaché di
programmazione basica, che sarebbe anche pleonastico parlarvi della pulizia del
suo codice e di come l’applicazione dello stesso a livello sistemico
sull’infrastruttura middleware sviluppata dai dipartimenti EA Sports
risolverebbe a questi ultimi l’incombenza delle patch di aggiustamento postume,
che a ogni modo estinguerebbero la mediocrità dei loro prodotti manco per il cazzo,
per cui urge femarsi sull’idea calcistica che il videogioco Sega AM2 induce
attraverso l’uso di tre tasti allineati. Una filosofia che pone in essere
l’eventualità di affrancarsi dalle dinamiche di massa e sobillare un nuovo arco
esistenziale di celebrazione dell’io (calcistico) dormiente.