LIMBO SPECIAL EDITION di @Liliana
Gazzetta
Vero
è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
Divina Commedia Inferno, Canto IV
Dai
contorni oscuri di una foresta, emerge, esile e delicata, la sagoma di un
bambino. Nel silenzio ultraterreno i suoi occhi luminosi scrutano il buio.
Incerto sul destino della sorellina perduta, non avrà altra scelta che mettersi
in viaggio per ritrovarla, attraversando un mondo fatto di ombra e luce,
disseminato di trappole mortali e presenze ostili. Non c’è dubbio, l’opera prima
del team danese indipendente Playdead mira a scatenare la reazione emotiva nel
giocatore, e lo fa avvalendosi di un suggestivo minimalismo stilistico e
cromatico bidimensionale, che ipnotizza sin dal primo momento. In questo luogo
sospeso, orrorifici archetipi di ansie si uniscono a nebbia e malinconie
struggenti; poesia che si fa immagine e percezione. Il bianco ed il nero,
protagonisti assoluti della nostra visione, si mischiano, si fondono, creano
violenti contrasti. Rievocano la distorta bellezza del cinema espressionista
tedesco (con tanto di effetto da “pellicola granulosa”, e titoli di testa
bianchi su sfondo nero, in pieno stile film muto). Resteremo quindi
irrimediabilmente invischiati nell’atmosfera opprimente di questa fiaba macabra,
quasi costretti a portarla a termine in un’unica sessione di gioco, tale sarà la
curiosità di scoprire cosa accadrà alla fine dell’incubo.
Dopo lessenziale menù introduttivo, verremo subito avviati al gioco vero e proprio.
Le azioni possibili per il nostro personaggio sono poche ed apparentemente semplici: si
cammina, si corre, si salta e si interagisce con gli oggetti, generalmente spostandoli o
attivandoli tramite leve, ingranaggi ed interruttori. In sostanza, ci troviamo davanti ad
un puzzle-platform in 2D, dominato dal comune meccanismo di trial and error o,
sarebbe meglio dire, trial and death: ci renderemo presto conto, infatti, di come
la Morte rappresenti lelemento cardine di questo titolo. Morte che ci coglierà in
modo improvviso, violento e disturbante ogni qualvolta non riusciremo a superare un
ostacolo sul nostro cammino. Tuttavia, quando accadrà, non verremo penalizzati perdendo i
nostri progressi (si dispone di vite infinite), ma vedremo il corpicino del
protagonista divenire oggetto di raccapriccianti decessi. Finiremo dilaniati, schiacciati,
infilzati, smembrati e fulminati una quantità in fin dei conti accettabile di volte,
prima di riuscire a fare nostro il meccanismo o risolvere il rompicapo che ci consentirà
di procedere. Gli enigmi proposti sono vari, decisamente ingegnosi, ma sempre alla portata
del giocatore. Mai come in Limbo, ambientato in un universo immateriale, sarà utile
applicare rigidamente le leggi fisiche che regolano luniverso materiale. Difficile
quindi bloccarsi a lungo in un punto; basterà riflettere con attenzione ed agire
semplicemente con un certo tempismo.
Durante il nostro viaggio visiteremo diversi ambienti. Ci faremo strada inizialmente
attraverso una tenebrosa boscaglia, infestata da creature da incubo e abitata da una sorta
di tribù di bambini eufemisticamente maldisposti nei nostri confronti; ambientazione che
ricorderà vagamente Il Signore delle Mosche. Proseguiremo respirando la
desolazione di una piovosa e vasta area urbana: impossibile non tornare con la mente
allonirica esperienza di Eraserhead, ed al suo stralunato protagonista
circondato da sinistri rumori di officine fantasma. Qui dovremo sopravvivere azionando
dighe, ingranaggi, o camminando in bilico sopra insegne al neon appese nel nulla,
sprizzanti scintille fatali. Nellultima parte del gioco dovremo giocare astutamente
col magnetismo, lelettricità e la forza di gravità (a volte intermittenti, altre
azionate direttamente da noi). Una breve parentesi la merita il comparto sonoro: la scelta
di un sound-design minimale rende lesperienza ancor più atmosferica e coinvolgente.
La quasi totale assenza di musica pone in primo piano gli effetti sonori, ricreati ad arte
in ottenimento di un fortissimo effetto evocativo. Il respiro affannoso della nostra
piccola figura mentre corre, il rumore sordo dellelettricità che va e viene, il
suono metallico agghiacciante di una tagliola che si chiude su di noi, o lacqua che
gocciola perennemente nellabbandonata zona industriale, diverranno subito parte
integrante del nostro sentire.
Vincitore di ben due riconoscimenti (Excellence in
Visual Art e Technical Excellence), durante l’edizione
2010 dellIndependent Game Festival, Limbo non è freddo
esercizio di stile, né paraculaggine dei programmatori mascherata da arte visiva, né
tantomeno vacuo snobismo che si fa beffe del giocatore. Il suo senso ultimo non si
esaurisce nel salto millimetrico della piattaforma. Cè qualcosa di più dietro a
tutto questo, ne siamo certi: una reale urgenza emotiva, un desiderio di comunicare
qualcosa, la voglia di farci innescare il meccanismo del pensiero sensibile, oltre
allingranaggio che fisicamente ci consentirà di proseguire. La soggettività di
giudizio relativa a questopera interattiva, semmai, risiede nella diversità di
reazioni che può suscitare nel giocatore; nelle corde che tocca dentro ognuno di noi, a
volte sfiorate con commovente grazia, altre stimolate con disturbante veemenza. Ricercare
i limiti di Limbo nella esigua durata della interazione, fisiologica alla natura stessa
del gioco, o nella supposta assenza di originalità nel gameplay, è piuttosto il sintomo
della miopia palesata, a riguardo, da innominabili webzine amatoriali. Saremo noi a dover
investire tale esperienza di un significato. La vaghezza nebulosa della sceneggiatura non
è casuale, così come non lo è il finale. Per appropriarci della sua essenza dovremo
abbandonarci, sospesi nellombra, lasciando la nostra mente libera di creare
connessioni tra immagini e presentimenti. Immedesimarci, trattenendo il respiro. Perché,
in fondo, il protagonista di Limbo siamo noi, carichi di ataviche angosce, soli nel
viaggio che andrà a comporre la nostra stessa esistenza. Linfantile paura del buio
che inghiotte e confonde, il malinconico smarrimento delladolescente, la nostra
spontaneità stritolata inesorabilmente dal mondo del lavoro, dalla macchina. Siamo noi
che, persi nella pioggia e nella desolazione delle città, tentiamo febbrilmente di
ricongiungerci con quel che resta di puro e incontaminato. Frantumando dimensioni,
eternamente.
|
|