Sì
ma quando esce la cartuccia di questa corsa. Dobbiamo ricordarci di telefonare a
Sandro Luiz de Paula per chiedergli di suggerire a
Nicalis di realizzarne una versione Switch col mini cd della
colonna sonora e un manuale stampato tutto a colori, perché tanto videogioco
vorrebbe nobilitarsi con qualche cosa di fisico da poter mettere su di uno
scaffale prima che Steam dichiari bancarotta e se ne voli via nel cielo a
insegnare agli angeli come fare i soldi sulle cose vaporware. L’altro giorno
c’era una panzona su di un suv. Procedeva a dieci all’ora in mezzo alla strada e
non si levava. Con una di queste macchine superveloci di Slipstream l’avremmo
superata in derapage mostrandole il Nostro dito medio sacro, e comunque non
sarebbe stato lo stesso, senza una spiaggia, una località di mare, una cosa come
città notturna di luce.
Eppure il coefficiente di turgidezza di
Slipstream si erge potente mica sullo stereotipo del videogioco indie mendicante
consensi tra le marmaglie hipster che si comprano tutto quanto concerne i Simple
Minds per intenzioni di moda ma invero per mezzo di questo assoluto controllo
dello sterzo, in curvatura massima, un proclama di slittamento che riguarda
sicuramente
OutRun 2 SP nel suo criterio centrale, essendovi necessità di starsene
lì con l’analogico a scalfire le macchine attraverso minime correzioni di pixel,
che tanto l’orizzonte è talmente esteso che si possono scrutare i mezzi che
stanno a un miglio e regolarsi, salvi i casi in cui vi sia di mezzo un dosso di
grado Yu Suzuki dove l’unico modo è lanciare i dadi e fare sei; la velocità dello
scorrimento scalare a un miliardo di fotogrammi al secondo, terrificante,
inconcepibile, qualcosa che spaventa i bambini tiene in ostaggio lo spettro visivo
sperimentando sul tempo di reazione dell’arto rispetto al contatto digitale, e
la velocità lo stesso moltiplica col bonus dello “slipstream” a farti sudare
freddo e infonderti in uguale misura l’esaltazione che ti era assolutamente
mancata dopo avere realizzato l’andamento lentissimo di tale GT Sport, che
dall’ultima revisione circa “I migliori 1001 videogiochi da
relagare a Pollicina”, classifica autorevole commissionata a
projectfirestart.org dalle riviste “Forbes” e “The
Economist” nell’ambito di un censimento di razza, accampa meritevolmente sul secondo scranno, a una pista da Horizon
Zero Dawn.
Le opzioni introducono un grand prix discreto che
fa curriculum. Ma che non risulta utile a chi si fosse preventivamente
avventurato nell’arcade mode, centro di questo corsismo consumabile
all’incontrario mediante selezione che è pure abbastanza longevo da esorcizzare
la castratura dell’atto, dato anche il difforme assetto delle automobili; de
facto, si potrebbe decidere di sacrificare la guidabilità di una Type 23 come
della Arashi per l’innesto in cavalli supplementari dei modelli Lynx (uh uh uh) e Aurora,
pur preservando in ambidue i casi il canovaccio di una messa in piega che
in corso d’opera divenga perpetua nello stile, chirurgica nell’uso direzionale.
Il suono – effoharkay, radicale quanto le grafiche, in cassetta – brilla di
sospensione temporale propria, e potrebbe questo essere un soundtrack ottantesco
parallelo, elettroavanguardia di fine millennio che accompagni la corrente dei
coin-op al crepuscolo dei suoi anni dolcemente, tra un riff di tastiera e un
complemento ambient di ponderabile virtù a non farsi mancare l’assidua
necessità di riconquista del kitsch sotto forma di plusvalore cromatico/acustico
di riferimento del prossimo ventennio. Sia lode. A distanza di tre anni dal
kickstarter che ne ha sancito il progetto di sviluppo, Slipstream mette in
risalto il talento del programmatore detto ansdor: il videogioco si delinea come
corsista di architettura bidimensionale montante un motore tridimensionale
customizzato (ottimizzato) per funzionare in disinvoltura anche sui processori
windows pc a 64 bit di dieci anni fa. Chapeau.