INTERVISTA A JAY GLENN MINER (1932 - 1994) [english version] di @Mike
Nelson |
Amiga. Prima ancora di Commodore. Milioni di utenti ne hanno condiviso la
scalata nei primi anni ’90, e gli attuali ultratrentenni si ricorderanno lo
spot televisivo con il mouse che spennellava chiazze di colore, mentre la
cinepresa inquadrava una tastiera col drive incorporato. Uno stato di estasi che non
abbiamo rimosso, e che cercheremo di rinverdire proponendovi questa
importante intervista del 1992. Mike Nelson di Amiga User International incontrò
Jay Glenn Miner, padre dell’Amiga, progettista del primo modello denominato
Amiga 1000... MN:
Il suo nome dice tutto, Jay Miner, VIP, padre di Amiga. In occasione del lancio
dell’Amiga 4000 a Los Angeles ebbi la fortuna di incontrarlo e parlargli,
proprio mentre supervisionava in modo paterno la nuova generazione
dell’architettura che lui stesso aveva creato tanti anni fa. A pranzo mi
raccontò la affascinante storia del secret project che portò alla realizzazione
finale di una macchina notevole, sopravvissuta soprattutto in virù della sua
preveggenza e del suo “sforzo supremo”. Fu tutt’altro che un viaggio agevole,
comunque, a causa di molte complicanze e macchinazioni messe in atto anche dalla
squadra dei progettisti! La storia della genesi di Amiga è già stata raccontata,
ma è solo di recente che Jay e la Commodore si sono incontrati a quattr’occhi
per scambiarsi i loro punti di vista sulla macchina e sulla sua evoluzione. Vi
sono anche dei piccoli aneddoti inediti prima d’ora...
Jay:
La storia comincia all’inizio degli
anni ’80 con una società che inizialmente non si chiamava Amiga, bensì
Hi Toro, che fu avviata da
Dave Morris, il nostro presidente.
Prima di quel periodo lavoravo con Atari, e con loro avevo in mente di creare
una macchina con processore 68000. Ma avevamo appena ultimato i lavori
sull’Atari 800, e la dirigenza non era propensa a investire un altro mucchio di
dollari sulla ricerca di una macchina a 16 bit, che per altro possedeva un
processore da 100 dollari a pezzo. La RAM era anche molto costosa, e ci
sarebbero voluti almeno due blocchi per macchina. Diciamo che loro non
guardavano al di là del proprio naso e alla fine mi risposero semplicemente con
un “No”. Così mi arresi....
MN:
Ma Jay Miner non è uomo a cui si possa dire di no, ed è immaginabile che Atari
stia ancora rimpiangendo la sua miope decisione. Comunque Jay non aveva
assolutamente abbandonato il progetto di una potentissima macchina a 16 bit, ma
bigognava che qualcuno sostenesse le spese...
Jay:
Mi recai presso una società costruttrice di chip chiamata
Xymos, della quale conoscevo il fondatore. Ottenni delle scorte e sembrava una
interessante compagnia in fase di avviamento (ho lavorato per molte nuove
società). Ritornando ad Atari,
Larry Caplan
era uno dei migliori programmatori di videogames per Atari 2600. Per tali
motivazioni lui e altri programmatori interni avevano richiesto un aumento di
stipendio, o quantomeno una piccola percentuale sui diritti d’autore, un
nichelino per cartuccia in effetti, per un software che stava vendendo in modo
pazzesco. Atari stava facendo una autentica fortuna ma rispose con il classico
“No”, così da provocare l’abbandono dei summenzionati programmatori, che
salutarono avviando una piccola società indipendente chiamata
Activision. All’inizio dell’82, due
anni dopo, Larry mi chiamò confidandomi che non si trovava bene all’Activision,
e proponendomi allo stesso tempo di creare assieme una nuova società. Possedevo
già molto materiale della Xymos e suggerii di procurarci prima di tutto un po’
di contanti dall’esterno, possibilmente dall’est. Affittammo così un piccolo
ufficio sullo Scott Boulevard in Santa Clara, e trovammo subito un milionario
texano che ci avrebbe fornito il danaro necessario. Gli piaceva l’idea di una
nuova società di videogiochi, che era precisamente ciò che Larry Caplan
intendeva realizzare. Lui si sarebbe occupato del software. Io intanto gli
sottoposi il progetto su come realizzare una macchina per videogiochi che
potesse anche essere utilizzata come un vero e proprio computer. Mi disse che
era una grande idea, ma per il momento non confidò nulla ai suoi finanziatori.
Intanto da Xymos mi trasferii a Santa Clara. La società si chiamava ancora Hi
Toro, ma gli investitori non erano molto entusiasti sul nome, così lo cambiarono
in “Amiga”. A me non
piacque molto, perché pensavo che usare un nome spagnolo non fosse la mossa
giusta... mi sbagliavo!
MN:
La squadra di progettisti di Hi Toro/Amiga fu selezionata da un gruppo di
persone nei due mesi successivi. Jay dice che la società non cercava gente che
fosse semplicemente interessata a un lavoro, ma persone realmente interessate al
progetto Amiga (nome in codice Lorraine, come la moglie del presidente) e
all’immenso potenziale che essa offriva.
Jay:
Raggiungemmo un accordo secondo cui
io avrei percepito un salario e del materiale, e mi sarebbe stato concesso di
portare in ufficio anche il mio cane Mitchy. Dave si riservō il diritto di
ritornare su questa decisione nel caso in cui qualcuno avesse reclamato, ma
Mitchy risultò essere molto popolare.
Il prototipo denominato “Lorraine”,
prima che mutasse quasi del tutto. |
MN:
Chiesi a Jay di riassumermi come fosse lavorare su di un progetto come
l’Amiga...
Jay:
Le grandi cose sul lavoro con Amiga? Primo, mi
era concesso di portare il mio cane a lavoro e ciò impostò l’intera atmosfera
del luogo. Non ero semplicemente amico di Mitchy. Il fatto che il cane fosse lì
in ufficio stava a significare che gli altri non sarebbero stati troppo critici
verso chi noi avremmo deciso di ingaggiare, ed era gente francamente bizzarra.
Alcuni si presentavano in ufficio in calzamaglia rossa e pantofole rosa.
Dale Luck appariva
come il vostro hippy medio, trasandato, senza casa, con i capelli lunghi e
fricchettone. In effetti l’intero gruppo era graziosamente compassato. Io non mi
opponevo, riconoscevo il talento quando lo vedevo e persino Pariseau –
l’Evangelista che diffondeva il verbo – era piuttosto bizzarro sotto certi
aspetti. Il lavoro procedeva, e questo era tutto ciò che importava veramente.
Non mi preoccupavo di come le soluzioni venissero fuori, anche quando i
progettisti lavoravano a casa loro. Il modo in cui si risolvevano alcune
divergenze consisteva nell’affrontarsi con mazze da baseball gommate (!?), ma
quando si veniva colpiti duramente ci si irritava un po’... vi era un conflitto
nella filosofia fondamentale del progetto: alcuni, tipo RJ
Mical, premevano per il “videogame” a
basso costo (la parte degli investitori, potremmo dire), mente altri come Dale
Luck e Carl Sassenrath
avrebbero voluto un computer con le migliori capacitā di espansione per il
futuro. Essendo fondamentalmente interna, questa disputa sui costi di produzione
non finiva mai; c’eravamo noi da una parte, e gli investitori e la Commodore
dall’altra. Si attraversano varie fasi in un progetto importante come quello
Amiga. A un certo punto si pensa “sembra grandioso e si venderā bene” ma poi le
cose vanno male e si vorrebbe semplicemente abbandonare. Ad Amiga la forza
d’animo era tale che la gente finiva per lavorare instancabilmente sui diversi
progetti, per giunta con la problematica di un software che era sulla via di
ultimazione prima ancora che l’assetto hardware fosse delineato. Carl Sassenrath
fu introdotto al progetto Amiga per creare il sistema operativo, e quando gli fu
chiesto, durante i colloqui, che cosa avesse in mente di realizzare, rispose con
molta semplicitā che aveva in mente un sistema operativo multi-funzionale (Multi-tasking).
E così nacque l’Exec,
che si trova nel vero cuore di Amiga. Carl ha in seguito mantenuto i suoi
stretti legami con la Commodore, e fu utile nella progettazione del CDTV. È davvero
incredibile come siano riusciti a utilizzare una cosė sofisticata tecnologia per
una semplice macchina da gioco. A ogni modo cose strane bollevano in pentola.
Cominciai a pensare a ciō che volevamo progettare. Fin dall’inizio avevo in
mente un computer come l’Amiga 2000,
con slot di espansione, una tastiera ecc. Avevo letto qualcosa riguardo i
blitters, e ne parlai con il mio amico Ron Nicholson,
che era sempre stato interessato dall’argomento. Alla fine si unì alla squadra,
e assieme implementammo tutte le funzioni del blitter. Gli algoritmi di
scrittura line drawing furono aggiunti molto dopo, dietro richiesta di
Dale Luck, uno dei nostri ingegneri sofware. Questo accadeva circa due settimane
prima della presentazione di Amiga al CES di Las Vegas. Inizialmente dissi a
Dale che non avremmo potuto inserire quegli algoritmi, visto che i chip erano
quasi ultimati e non rimaneva abbastanza spazio. Ma lui prese tempo, mostrandomi
i registri che occorrevano, e io fui d’accordo.
MN:
Ci vollero tre progettisti, compreso Jay (che creò l’Agnus), e quasi due anni
per realizzare i processori (1982 - 1984), e durante tutto questo tempo la
squadra addetta al software, che cresceva sempre pių di numero, lavorava su ciò
che sarebbero diventate le librerie di sistema dell’Amiga. Loro avevano l’arduo
compito di programmare sull’hardware più avanzato e radicale mai concepito, per
una macchina da giochi che fisicamente non esisteva ancora, se non in una
quantitā inverosimile di idee, stringhe e diagrammi abbozzati su di una lavagna.
Jay:
Una volta realizzata l’idea progettuale dei processori, tutto quello che bisogna
fare è dare un nome ai registri e dire ai ragazzi del software qualcosa tipo “ho
quì un registro che conterrà i colori per questa parte e si chiama qualunque”. E
loro potranno, di conseguenza, simularlo in fase di programmazione. Costruimmo
così dei simulatori hardware (bread boards), e questo divenne un lavoro di
routine. Inizialmente realizzammo i processori utilizzando il procedimento NMOS,
che comporta un consumo di corrente molto più alto rispetto al più avanzato
CMOS. Mi sorprende che la Commodore non abbia riprogettato i chip in CMOS, non
superando l’ostacolo principe per la produzioone di un portatile. Utilizzammo
NMOS perché a quel tempo il CMOS era molto più lento e meno affidabile. Adesso è
molto più veloce, perciò come mai la Commodore sta ancora usando NMOS per alcuni
dei suoi processori?
Il motto “Mantenere e Modificare” (Hold and Modify)
deriva da un intenso viaggio che mi portò a osservare in azione alcuni
simulatori di volo, e da essi ebbi l’intuizione riguardo una tipologia primitiva
di realtà virtuale. NTSC come output significava poter mantenere il colore e
modificarne la brillantezza usando solo quattro bit. Quando adottammo l’RGB
realizzai che tanto potesse bastare, e chiesi al progettista di rimuovere il
segnale l’NTSC dal processore perché a mio avviso inutile. Ma tornò da me,
dicendomi che tale operazione avrebbe causato uno spazio vuoto all’interno del
microchip incriminato, e che per sistemarlo sarebbero occorsi tre mesi di
riprogettazione. E noi non potevamo permettercelo. Pensavo che la presenza
dell’NTSC non sarebbe tornata utile. Ma mi sbagliavo ancora, e così tali
circostanze hanno davvero reso Amiga superiore per qualità dei colori. Fu
Commodore che volle mantenere caratteristiche come l’output NTSC/PAL. Avremmo
voluto optare direttamente sull’RGB, ma a quei tempi i monitor a colori erano
molto costosi (quelli della IBM e della MAC erano monocromatici). Mi venne in
mente di utilizzare un convertitore output per risparmiare sui pezzi, ma quando
la Commodore acquisì Amiga, agevolati dal fatto che il mercato dei videogiochi
attraversava un periodo di crisi e aiutati dalla nostra latente volontà di
realizzare un computer professionale, riuscimmo a persuadere la nuova società a
finanziare anche l’RGB.
MN:
Osservando le immagini dei prototipi Amiga, sembra impossibile immaginare come
tutti quei fili e quelle schede siano infine stati inseriti all’interno
dell’Amiga 500. Il primo Agnus era formato da una ingombrante mainboard
contenente 250 chip, e lo stesso spazio era occupato dei restanti due
processori, che dapprima furono chiamati Daphne e Portia, per poi in seguito
divenire Denise e Paula.
La sfera tridimensionale rimbalzante del CES del
1984, simbolo di Amiga... |
Jay:
Era debilitante lavorare sulle macchine mentre
tutte le connessioni hardware puntualmente si rompevano. Forse oggi sono ancora
lì da qualche parte. In più, per tenere lontane le spie della famigerata
Silicon Valley ingaggiammo dei
progettisti di unità periferiche di sistema, in modo che alla fine le uniche
cose visibili fossero i joystick. E di certo non potevano rappresentare una
minaccia. Nel 1983 realizzammo una motherboard su cui collegammo le piastre del
sistema, e portammo il tutto al CES (Gennaio ’84) mostrando alcune demo a gente
da noi appositamente selezionata, lontani dai riflettori. Alla stessa
manifestazione scrissero della nostra “palla rimbalzante”, che lasciava di
stucco chiunque si fermasse. Certo, nessuno avrebbe mai immaginato che tutte
quelle schede sarebbero state ridotte a soli tre processori. Il rumore provocato
dalla sfera era nientemeno che Bob Pariseau
mentre sbatteva la sua mazza da baseball contro la porta del nostro grarage. Il
suono fu successivamente sintetizzato su Apple II e adattato alle risorse sonore di
Amiga. Il CES risutò essere molto importante, visto che eravamo a corto di
danaro, e il responso positivo del pubblico ridiede morale a tutta la squadra.
Ma eravamo sempre bisogno di nuovi introiti, e cercavamo di rinnovare le
ipoteche attingendo dagli stipendi. È incredibile quanto costi pagare quindici
o venti persone!
MN:
Con le cose che stavano precipitando, Amiga fu costretta a cercare nuovi fondi
per far sì che quella palla “continuasse a rimbalzare”. Alla fine si rivolse al
vecchio datore di lavoro di Jay, la Atari...
Jay:
Atari ci diede 500.000 dollari a
condizione che le strategie di produzione del chipset Amiga venissero decise con
loro. Se ciò non fosse accaduto avremmo dovuto restituire i soldi oppure cedere
i diritti Amiga ad Atari. Era una condizione difficile da assecondare, ma non vi
era altra scelta.
MN:
Atari offrì un dollaro per azione, ma Amiga contava su di una somma maggiore.
L’offerta fu rifiutata e poiché Atari conosceva bene le difficoltà finanziarie
di Amiga finì per abbassare l’offerta a 85 centesimi per azione. La Commodore si
inserì all’ultimo momento, aumentò il prezzo sotto gli occhi dei suoi acerrimi
rivali e tenne Amiga per sè, pagando solo 4,25 dollari per azione e insediando
la squadra nell’ufficio di Los Gatos. Jay continuò la storia...
Jay:
Quando Tramiel
(presidente di Atari) si rese conto che non avrebbe potuto mettere le mani sul
chipset Amiga si arrabbiò tantissimo, perché tutta la questione del finanziarci
aveva l’unico obiettivo di impadronirsi solo ed esclusivamente di tale
tecnologia, e non delle persone che la avevano realizzata. Diversamente dalla
Commodore, che intendeva mantenere intatta la squadra. Atari 400 e 800
(progettati anch’essi da Jay) erano grandi computer a quel tempo, ma si sa che
la tecnologia va avanti. Quando non ottenne il chipset Amiga la sua unica
alternativa era quella di progettare un nuovo computer privo di chip
customizzati, così realizzò l’ST. Detta macchina non era male, ma non possedeva
la potenza di Amiga.
MN:
Jay, dicci qualcosa che non sappiamo!! Riguardo il MIDI, perché non fu
implementato?
Jay:
In
realtà le connessioni MIDI non sono tanto differenti dalla porta seriale standard di Amiga, e
subito dopo che la macchina venne realizzata, qualcuno produsse un piccolo
adattatore che offriva tutti gli input e gli output MIDI, ma la Commodore
rifiutò di produrlo e pubblicizzarlo. Questo, alla fine, resterà tra i miei più
grandi disaccordi con la Commodore. Se si ha per le mani una piccola società che
realizza grandi apparecchiature per terze parti e che rende la propria macchina
più competitiva, si ha il dovere di sostenerla. In passato Commodore si è
dimostrata troppo avida, desiderando tutto per sè senza la volontà di pagare, ma
penso che adesso stia cambiando. O quantomeno lo spero...
MN:
Va detto che Amiga 1000 prese forma molto tempo dopo la acquisizione Commodore.
Il presidente ebbe l’idea di far scorrere la tastiera sotto l’unità centrale, e
ci volle quasi un anno per riprogettare la scheda madre da inservi all’interno. Tutto era
sistemato, e allora Commodore decise che 512 K di RAM erano troppi...
L’Amiga 1000, il primo
della sua stirpe. |
Jay:
Volevano una macchina da
256 K dal momento che 512 costavano troppo. A quel tempo la RAM era veramente
costosa ma sapevo che il prezzo sarebbe calato. Dissi loro che non potevamo
eliminare i 512 K perché il computer era ormai quasi pronto, e che un simile
taglio ne avrebbe sminuito l’architettura. Dave Needle
venne fuori con l’idea di inserire il cartridge slot di espansione sul case
lateralmente, mentre io ero propenso a inserire i sockets direttamente sulla
scheda madre.
MN:
Le idee di Jay furono vendicate quando, all’uscita del computer, divenne ovvio
che i 512 K erano necessari per far sì che la macchina potesse operare in modo
significativo, e tali erano gli standard anche nel Regno Unito. La scarsa
lungimiranza della Commodore costò al mondo altri sei mesi senza Amiga, e
durante tale periodo il prezzo della RAM finì per calare comunque!
Jay:
Trascorsi questo lasso temporale perfezionando la
documentazione software e hardware, cambiando i nomi dei registri e
ottimizzandone le funzioni. Dopo tutto fu tempo speso bene.
MN:
I lettori più assidui (*) sapranno già di quanto io pensi sia
meraviglioso lavorare con Intuition (il cuore dI Amiga OS),
pertanto chiesi a Jay di rivelarmi qualcosa sul suo eventuale coinvolgimento
nella realizzazione...
Jay:
RJ Mical
fece tutto o quasi da solo. Si tenne nascosto per tre settimane (!) e venne
fuori una sola volta per chiedere a Carl Sassenrath qualcosa sulle porte di
comunicazione. Proprio così, davvero! Scrisse
Intuition
e continuò nella realizzazione dell’interfaccia grafica,
Graphicraft, perché nessun altro
avrebbe potuto concretizzarla. Mi torna in mente l’animazione del
Jarvik-7
(cuore meccanico artificiale). Ebbene parlammo davvero con l’addetto per
ottenere il permesso di disegnarlo: la conseguente animazione rendeva ciclici i
registri del colore. Molte splendide pseudo-animazioni furono realizzate con
questa tecnica. Che poi era la stessa della palla rimbalzante. Le altre macchine
sul mercato non erano in grado di sviluppare un simile sistema di animazione.
MN:
Non appena tutto il software fu pronto, arrivò il tempo del grande lancio
dell’A1000. La reazione di Jay...
Jay:
Vi furono molti compromessi che a me
non piacquero, ma in fin dei conti andò meglio di ciò che sarebbe stato se
avessimo fatto esclusivamente a modo nostro. Comunque non l’avemmo vinta su
tutto. I 256 K della RAM costituivano un vero problema. I progettisti sofware
sapevano benissimo che non sarebbe stata insufficiente, ma nessuno era in grado
di convincere Commodore in proposito. Intraprendemmo allora una vera lotta
interna avente come oggetto l’inserimento dello slot laterale di espansione, e
questo rischiò realmente di mandare a monte tutto. La via meno costosa per
creare il bus di espansione stava nel realizzare un edge connector e sono
felice che ci riuscimmo. Quando l’A1000 uscì eravamo in perdita. Intanto la
squadra era composta da undici o dodici persone con la speranza di espandersi,
ma la Commodore non lo consentì, e anzi finì per sospendere dal lavoro alcuni
membri dello staff. Cercammo di spingere i dirigenti Commodore verso la
costruzione di una macchina con slot di espansione verticali, riuscendo a
ottenere l’A2000, ma inizialmente non sembravano molto entusiasti.
MN:
Non appena Amiga fu immessa sul mercato, a Los Gatos il lavoro continuava. Ma i
giorni di questo team di sviluppo, bello ma individualista, erano ormai
contati...
Jay:
Fui felice di vedere la Commodore muoversi verso l’A2000. Era il primo Amiga che
si potesse davvero ritagliare per le proprie esigenze. Ed era questo uno dei
fattori che avevano portato i primi modelli Apple al successo. Successivamente
tentammo la strada degli slot interni orizzontali (come i successivi A3000),
perché così sarebbe stato più facile implementare il sistema di raffreddamento.
Vi era un progetto da portare a termine, ma in quel periodo gli A2000 venivano
prodotti in Germania perciò progettammo la autoconfigurazione interna degli
slots. Questo avrebbe comportato, per Commodore, un costo aggiuntivo di 50
centesimi a fornitura, così intraprendemmo una feroce battaglia che alla fine
vincemmo. Il nostro direttore compartimentale Commodore era
Rick Geiger. Lui era molto abile nel
tenere i dirigenti lontani dai nostri sederi. Tuttavia vi erano altri tizi bravi
a intuire su cosa stavamo lavorando e a dire “No” tutte le volte. A volte Rick
avrebbe voluto progeggerci, ed è per questo che stava cercando di dare a
Commodore ciò che la società desiderava fortemente: la compatibilità con
l’MS-DOS. Alcune società promettevano che sarebbero state in grado di fornire
una soluzione via software al problema, ma i tentativi non funzionarono mai
veramente. Tra di noi c’era un giovanotto di credenze ebraiche, un ingegnere.
Sapevamo che era ebreo perché sul posto di lavoro indossava quel bizzarro
copricapo. Ma non era un problema per me. Non mi importava se gli impiegati
portavano pantofole rosa, l’importante è che il lavoro fosse portato a termine.
A ogni modo il giovanotto ci promise che avrebbe messo l’MS-DOS su di una scheda
per fare una interfaccia IBM. Lavorò da solo, ma le settimane trascorrevano e
nulla veniva fuori, se non tutta una serie di promesse che mi preoccupavano
molto. E fu questo episodio che portò Rick alla rovina. Lui ci garantì (a noi e
a Commodore) che il ragazo ce l’avrebbe fatta, ma nessuno smetteva di
etichettarlo: continuava a rimandare di settimana in settimana. Intanto
Commodore aveva cominciato a pubblicizzare la scheda, che alla fine non
funzionava, e pertanto Rick e il ragazzo vennero licenziati. Questo fu l’inizio
della fine del dipartimento di Los Gatos. Non ho mai parlato di questo episodio
prima perché era troppo personale, ma adesso che non ricordo più chi fosse il
progettista la cosa non ha molta importanza. Tutto questo per dire che, perché
un lavoro sia portato avanti bene, c’è bisogno che qualcun altro ne controlli lo
svolgimento.
Amiga 2000: finalmente Commodore
iniziava a “espandersi”. |
MN:
In che misura pensi che la compatibilità con il PC sarebbe stata importante?
Jay:
Alla fine dalla Germania venne fuori
il
Sidecar, ma vi erano molti bugs nella
programmazione del software, bugs che la squadra di Los Gatos contribuì a
eliminare. Questo accadeva comunque prima che il 2000 venisse commercializato.
È strano, ma non ho mai ritenuto che la compatibilità con l’MS-DOS fosse tanto
importante per l’Amiga. A quel tempo dissi a Commodore: “Ehi, noi siamo diversi.
Cercate di avvantaggiarvi di questo, non imitate gli altri”. Avremmo potuto
rendere i nostri comandi più simili ai loro. Perché vi è la tendenza, quando si
crea un nuovo software, a differenziarsi cambiando i nomi e le funzioni
essenziali, ma non è realmente necessario. Grazie alla superiorità del sistema
operativo di Amiga potevamo fare meglio di MS-DOS, contando su di una
risoluzione cromatica che la IBM non possedeva. Al contrario, Commodore
continuava a promettere la compatibilità e, puntualmente, a non mantenerla. E
questo è ancora peggio.
MN:
Dopodichè la Commodore decise che la squadra di progettazione ritornasse a est,
decisione che naturalmente il team non accettò. In tal modo l’ufficio di Los
Gatos fu gradualmente smobilitato e Jay fece i bagagli. Continuammo a parlare di
quel periodo ed anche dello staff recente di Commodore...
Jay:
Il vicepresidente alla
progettazione, Bill Sydnes,
fu licenziato. Prima di entrare nella Commodore aveva realizzato il
PC Junior, uno dei più grandi
fallimenti della IBM, dando così a Commodore una opportunità che non riuscì a
sfruttare: un po’ di sana pubblicità concorrenziale che avrebbe potuto dare i
suoi frutti.
MN:
Come credi che Commodore abbia trattato Amiga nel tempo? Ti disturba il fatto
che il numero dei PC sia dieci volte superiore a quello Amiga?
Jay:
Si, mi disturba davvero. Non ho vincoli finanziari con la Commodore, non più, e
non mi viene niente in tasca dalle vendite di Amiga. Ma le cose avrebbero potuto
essere molto diverse. Ho ancora sentimeti paterni verso Amiga, molto più che nei
confronti di Atari. Ciò che mi frustra di più è che la gente si stia perdendo
qualcosa di speciale senza Amiga. Mi parlano dei loro IBM e dei loro
meravigliosi MAC, ma non sanno quel che si perdono.
MN:
Il Toaster è un killer product in tal proposito. Cosa ne pensi?
Jay:
È un prodotto fantastico. Commodore fece veramente un
grosso errore non adottando il Toaster sin dall’inizio. Dal canto mio, non ho
mai pensato a una cosa simile durante le fasi di progettazione. Allora la
manipolazione dell’immagine televisiva non esisteva ancora, ma inserii i
circuiti Genlock e il segnale sync nei primi progetti, perciò apprezzavo quel
genere di applicazioni. Ma non avrei mai immaginato che sarebbero arrivate cose
come il Toaster..
MN:
Cosa ti piacerebbe vedere per il futuro?
Jay:
Mi piacerebbe che Commodore
adottasse come standard le schede a 24 bit GVP, o le schede DMI. L’Amiga ha
urgente bisogno della standardizzazione della alta risoluzione, con palette a 24
bit. La scheda JPEG della DMI è un altro prodotto meraviglioso che ha bisogno di
essere standardizzato nei modelli di fascia alta di Amiga. Aspetteranno, come
hanno sempre fatto, che qualcun altro ottenga lo standard, cercando di riparare
all’ultimo aggiungendo qualcosa all’hardware, mentre gli altri fanno un sacco di
soldi. Vedi ad esempio la GVP. Gerard Bucas era il vice presidente ingegnere, e
siccome non lavorava come dettava la Commodore se ne andò. Invece lui aveva
davvero intravisto una possibilità di fare soldi, e guardate adesso dove è
arrivata la GVP... fanno concorrenza alla Commodore. L’Amiga della prossima
generazione, per essere all’avanguardia, ha bisogno di un convertitore JPEG in
tempo reale, e di schede grafiche integrate a 24 bit. Ebbi un incontro con
Lou Eggibrecht (il nuovo vice presidente ingegnere) di circa dieci minuti e
ne fui molto felice. Mi promise che avremmo pranzato assieme e che mi avrebbe
parlato di Amiga. Gli feci delle domande sulle prosepttive future del chipset ed
ebbi le risposte che cercavo: alta risoluzione, nuova architettura, più
competitività. La sua conoscenza dell’attuale hardware fu davvero incoraggiante.
Mi piacerebbe larovare per loro come consulente, ma non so in quale misura
potrei contribuire.
MN:
Cosa ne pensi dell’A4000?
Amiga 4000: col chipset AGA la
palette veniva estesa fino a 256 colori. |
Jay:
Sai, oggi alla mostra la Commodore
me ne ha regalato uno. È la prima volta che ottengo qualcosa da loro!
Inserire il drive IDE nel 4000 è stato un terribile errore. Perché tutti i
precedenti Amiga non hanno che beneficiato dello SCSI. A ogni modo sono
intrigato dall’A4000. Lo cercavo da qualche giorno e pensavo al modo di
comprarlo senza farlo sapere a mia moglie. Possiedo due A2000 che utilizzo per
il materiale BBS su cui attualmente lavoro.
Nell’Amiga 4000 hanno upgradato il chipset portando i colori a 256 da 8
bitplanes. La alta risoluzione e i nuovi colori girano davvero velocemente.
L’interfaccia MS-DOS (Cross DOS) è piuttosto carina ma resto insoddisfatto della
questione SCSI e dell’audio, che non è ancora a 16 bit. Ma secondo Eggirecht la
questione sarà risolta presto. Sono anche un po’ deluso per il non utilizzo del
040 per la gestione avanzata della memoria. L’OS 3.0 sembra molto buono nei
datatypes e in molte altre caratteristiche. Chi ha bisogno di MS-DOS e Windows?
MN:
Cosa ne pensi del CDTV?
Jay:
CDTV è un’idea brillante, ma ha
bisogno del software giusto. Riuscite a pensare a qualcosa di più scomodo che
leggere una enciclopedia o la Bibbia su di una TV, piuttosto che nella nitidezza
di un bel RGB? Ma come sistema di svago a basso costo potrà rivelarsi un buon
progetto a lungo termine. Spero solo che Commodore non si arrenderà se le cose
non andranno bene all’inizio. Possono prendere da esempio la Philips...
MN:
Qual è la tua applicazione preferita?
Jay:
Mi piacciono le applicazioni per i bollettini di bordo, perché è ciò a cui
lavoro attualmente. ADPro è anche un programma fantastico. Ho preso anche
un pacchetto chiamato SCALA e mi piacerebbe lavorarvi. La sua interfaccia
è di grande effetto. Possiedo un acceleratore GVP 030 ed è veramente
incredibile. E sulla scheda a 32 bit l’hard disk gira molto velocemente. È come
possedere una nuova macchina.
Conclusione
Parlare con Jay Miner è una delle
più belle esperienze che un possessore di Amiga possa avere. Lui è davvero il
padre dell’Amiga e la sua passione per la macchina è evidente. È facile
comprendere la sua frustrazione nell’osservare cose e fatti che non andavano
come lui desiderasse, con l’intero potenziale della macchina, otto anni dopo la
sua nascita, ancora lontano dalla sua completa realizzazione. È quasi
incredibile che Amiga esista ancora e che si venda ancora bene nonostante la
feroce concorrenza, e la naturale tendenza degli utenti a preferirgli IBM e MAC.
Ma è anche vero che Amiga possedeva una delle squadre di progettazione più
geniali e innovative mai messe assieme, ed è interessante pensare dove Amiga
sarebbe oggi se i suoi ideatori si fossero bene amalgamati e se gli sforzi della
Commodore fossero stati più costruttivi. Gli attuali addetti al marketing non
hanno ancora ben chiaro come collocare Amiga sul mercato e in cosa Amiga sia
così speciale. Cercare di venderla come fosse un PC è sbagliato perché Amiga è
tutt’altro che un calcolatore elettronico. Ciò che Amiga fa in quanto hardware è
aprire le porte. Solo il tempo potrà dirci se sopravviverà alla concorrenza e
chissà, magari la Commodore per farlo potrebbe attingere dagli insegnamenti del
Padre.
Mike Nelson, settembre 1992
Traduzione di Michele Abiusi, ottobre 2004 Adattamento di Luca
Abiusi, luglio 2018
(*) La rivista in questione è naturalmente Amiga
User International, pubblicata nel Regno Unito fino al 1997.
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