Tracciare
un asse di simmetria tra
Dino Dini’s Kick Off Revival – l’Everest del videogioco del calcio, ma
estendiamo il campo: il più significativo simulatore di uno sport che a
tutt’oggi attesti esistenza nell’ambito dell’intrattenimento elettronico – e codesto Tecmo World Cup
’93
potrebbe apparire come una forzatura semantica. Ma non quando si
discute di meccanica del passaggio, e in parallelo dei tragicomici eventi che
avevano portato il
videogiocatore medio™ a esibire tanti uh uh uh banana sgrat due anni or sono,
nel momento in cui muniti di sacchetto dei popcorn lo si era osservato dimenarsi
e schiumare sul pulsante X della PlayStation 4 e non
capire cosa bisognava fare neanche se glie lo disegnavi sul taccuino dove si era
appuntati i comandi principali che gli avessero consentito di ultimare The Sims 4: Giardini romantici.
Sicché Tecmo World Cup ’93 è argomento da grandi. Perché si gioca alla Dino Dini.
Per cui se uno della tua squadra se ne sta nelle vicinanze e tu premi il
pulsante, l’omino gli dà la palla. Ma poi non fare che dopo il passaggio ti metti a muovere l’omino che riceve, se no poi l’omino che riceve non riceve:
non ci hai capito un cazzo comunque, vero, Homer?
I Nostri emissari-spia riferiscono di avere individuato
grafiche striate ultraverdi orizzontali che dicono che hanno inoltrato richiesta
di adesione al dipartimento del videogioco del calcio di classe coin-op, pur
sebbene il team creativo non avesse da Nostra documentazione cooptate produzioni arcade alcune, e si fosse al più limitato a portare su Game Gear
qualche precedente programma del Sega Mark III di cui nessuno sembra volersi
ricordare. Ma ci sanno fare. Il microdesign dei calciatori diventa ricco quando
tutto intorno a te inizia a muoversi in funzione di continuità con la manovra
dell’input bitasto, e si manifesta quest’animazione dell’alter ego resiliente
sullo scalo dal frame statico al fotogramma, sino a ricondurre lo
spostamento e non necessitare d’intercalazioni particolarmente composite; la
proiezione del pallone si vede che è abbastanza irrealistica da ricostruire su
console i fasti di Tecmo Cup ’90 e cade ad hoc quando si deve rilanciare dalla
difesa – col pupazzo in posizione neutra, se no altrimenti si effettua il tiro
normale – verso il settore di attacco, per dare seguito a una rete di scambi
veloci e smarcarsi per il calcio risolutivo. Il portiere si comporta bene. Para
i tiri che deve parare e si piazza a dovere lateralmente. Il fallo non è
previsto. In compenso, in caso di parità si procede con una sessione di calci di
rigore.
Videogioco che se trovi un criceto
videogiocatore medio™ da laboratorio con cui interagirvi è meglio, perché ci piace
vincere facile, ma che sa detenere una scatola nera di patrimonio strutturale
parimenti quando consumato in single player contando l’esistenza di
questa modalità campionato del mondo che vede la cpu diventare sempre più
cattiva
ma con moderazione, onde disinnescare il gameplay hardcore programmato per
utenze preadolescenziali di quarantuno anni in scadenza ad aprile, Tecmo World Cup
’93
dimostra compiutezza oltremodo sul lato gestionale se al caso si dovesse
introdurre un motivo di sovrascrittura dei nomi di default, chiaramente
inventati, o di modificazione del modulo 4-4-2 in un 4-3-3 offensivo, o di
sostituzione di un giocatore con un altro potenzialmente più forte, anche se
dopo dovesse rivelarsi più scarso, ma però intanto hai fatto la sostituzione,
una cosa che non tutti i giuochi del calcio dei primi ’90 consentivano di fare.
Il programma c’è. Si rilevano queste sue grafiche orizzontali di autorevole
dettaglio verso le due estremità, dove ci sono le porte – un fatto essenziale:
taluni soccer del periodo erano anche belli, ma forniti di
quadrilateri-cassonetto capaci di scatenare la depressione – che ne fanno
lievitare il punteggio, e non è che il Master System mancasse di titoli
dedicati. Eppure questo, di grazia, rappresenta l’élite calcistica dell’otto
bit.