SIN AND PUNISHMENT di @Giulio
Palermo
Il
nome dello sviluppatore stampigliato sulla copertina è già da solo più che
sufficiente per mandare in fibrillazione qualunque hardcore gamer degno di
questo nome. Ma per nostra fortuna, Sin
and Punishment non è un videogioco Treasure qualunque. Trattasi infatti di
sparatutto su rotaie uscito quasi in sordina a fine 2000, su un Nintendo 64 ormai morente,
per volontà della stessa casa madre, che voleva terminare il ciclo vitale del suo
mangiacartucce nero con un titolo che avesse appeal anche presso un pubblico occidentale.
Per la cronaca, Sin and Punishment in Occidente non ci arrivò mai... Di fronte alla
particolare conformazione del joypad tricornuto, i ragazzacci di
Bangaioh
pensarono bene di separare nettamente i movimenti dei personaggi dalle direzioni dello
sparo. Le conseguenze di questo approccio sono prevedibili, quasi obbligate: frenesia a
denti stretti e sterminio massivo diventano all’ordine del giorno, peraltro incoraggiati
da un simpatico contatore che ci regalerà una vita extra ad ogni centinaio di esecuzioni,
o generose quantità di punti ogniqualvolta riusciremo ad abbattere un nemico
particolarmente ostico o colpire un pannello bonus.
Questo in apparenza: in realtà, in Sin and Punishment non ci sono nemici. O meglio,
straborderanno su schermo in tutto il loro splendore biomeccanico, vi feriranno, urleranno
come possono se colpiti, e deflagreranno; ma non hanno un’esistenza propria. Sono mere
illustrazioni del concetto di Non-Io, la loro materializzazione ha l’unico scopo di porvi
delle domande: Ma posso superare i limiti della connessione occhio-joypad? Posso
deflettere i concetti di spazio e tempo? Posso raggiungere l’autocoscienza?. E non
appena la vostra risposta sarà positiva, un ammasso di poligoni esploderà, il contatore
aumenterà di un’unità, e il valzer dei proiettili potrà ricominciare, lieve come la
pressione di un grilletto e aspro come il sangue di una ferita. Si direbbe che la
direttiva primaria di Treasure, durante la progettazione di quest’opera, fosse suscitare
nel giocatore una sensazione di incanto, dall’inizio alla fine. Si rimane a mandibola
spalancata di fronte alle cutscenes completamente parlate, in un inglese dalla
definizione cristallina; e la salivazione continua, davanti alle animazioni fluidissime,
alle tessiture salvo rari casi eccellenti, agli effetti speciali meravigliosi, e ai
modelli poligonali, fedeli in tutto e per tutto all’accattivante character design
delle illustrazioni. A volte si ha l’impressione di avere acceso per sbaglio un Dreamcast,
tanto più che questo cinetico tripudio di esplosioni, luci e colori è generalmente
incollato sui 60 fps.
Ma dove colpisce veramente Sin and Punishment è nella misura in cui la struttura ludica
si lega con l’apparato esteriore di cui sopra.
Saltabeccheremo a destra e a manca per evitare raffiche senza apparente via di scampo, ci
lasceremo alle spalle colonne e colonne di nemici di ogni tipo, cercheremo approcci
modulari per sconfiggerli, rispediremo i loro missili al mittente utilizzando su di loro
il lock-on, e loro si fionderanno a decine verso di noi mentre uno strano techno-jazz in
stile anni ’80 commenterà le nostre azioni, sempre più sul filo del rasoio minuto dopo
minuto, tra scenari metropolitani, testate nucleari, e scontri tra pianeti. E tutto ciò
con sommo godimento per i nostri pollici. Treasure ha messo come al solito una cura
certosina nel cesellamento del level design, mai sottotono o avaro di emozioni: ogni
singolo momento sembra progettato per non dare al giocatore un attimo di respiro, neanche
durante i filmati di intermezzo. Ci sembra giusto aggiungere: Deo gratias. Con gioia quasi
puerile, Sin and Punishment distrugge tutto ciò che abbiamo imparato a considerare
canoni (e spesso limiti) dello sparatutto a rotaie. La progressione si altera fino
all’inverosimile, si dilata, diventa circolare, a scorrimento, ruota anche di 180 gradi,
cozza contro i muri, cinematografizza, si contamina con citazioni e autocitazioni a frotte,
tanto più che a volte sembra di giocare al redivivo e immortale
Gunstar Heroes,
con cui questo titolo già condivideva alcune delle dinamiche d’approccio al nemico.
Persino la storia, di solito ultima ruota del carro, è stata ben sviluppata.
Dall’intreccio narrativo alle soluzioni registiche, passando per le chiavi di lettura
alternative, tutto sembra rifarsi agli stilemi dell’anime robotico post-Evangelion, e la
cosa non può che farci piacere. Addirittura è possibile trovarvi analogie con le
considerazioni di stampo Zen di cui sopra... Con tutta questa carne al fuoco, è naturale
che Sin and Punishment duri un’ora. Questo è lo scotto per un’opera così originale,
così piena, così passionale. Ma vi possiamo garantire che sarà una delle ore più
emozionanti della vostra vita videoludica. Lo è stata della nostra.
|
|