Sì
ma nove, ché cicciospastico sansone se n’era uscito con la cosa che Magica
sarebbe un videogioco derivativo di queste minchie sacre, ignorando tuttavia che Magica è tanto carina: lei bimbina saltellina di qua e di là
tra i
fiorellini, le stelline e ci sono i bambini fantasmini, le streghine. Nove,
altro che sei e mezzo; poiché magari non sai che questo gioco di fantasmagorico
design che rende omaggio a tutto è indispensabile quanto le super stunt cars, le
medesime che nel 1986 andavano in pezzi e ti davano anche il trampolino in
dotazione, così le macchine potevano disintegrarsi in volo, avrai anche mancato
l’occasione di fare la conoscenza di
Juan J. Martinez, il quale realizza i giochini per i computer a 8 bit
facendosi pure confezionare gli scatolami con le sorprese, con tanto di floppy
disk da inserire nel drive dell’Amstrad CPC 6128 Plus.
Adesso ci dirai che non è che ci vuole chissà
cosa a fare un platform di codesto genere, che basta che disegni una mappa
uguale a Bubble Bobble e gli metti dentro gli sprite diversi ed è fatta, eppure
non stai calcolando la variabile di un’intelligenza artificiale che in Magica
evidenzia i fondamenti dell’intrattenimento universale in forma di spiegazione
terra terra, a + b che fa c, non quindi cose strettamente elettroniche datoché
il giuoco si mostrerebbe nelle sue facoltà di super videogioco anche dentro una
macchina per il caffè, una capsula che puoi mettere ovunque tanto il risultato
risuterà sempre lo stesso di Magica che saltella e colpisce i pupazzi che
colpiscono altri pupazzi che si trasformano in pozioni magiche che fanno
l’incantesimo del portale che ti fa proseguire verso il livello seguente abitato
da delegazioni di elfi, gnomi,
maghi, spettri, cavalieri, re, regine, ladri, felloni, guasconi, giullari e sei
felice poiché sono questi i videogiochi che tuttora hanno motivo di
materializzarsi a schermo da che possiedono il requisito di farsi accudire sino
all’eternità in un meccanico loop di consultazione cronica da stabilirsi
in accordo con lo psicanalista, in quanto non avrebbe
senso abbandonare bambina al suo destino, che bisogna salvare il regno, se no
dopo
il re usurpatore precipita Camelot nel caos.
La perfezione. Se mai tu dovessi immaginarti di
investire sulla stupidità del nemico che cammina di sotto e non pensare che
questi sia in grado di arrivarti davanti cadresti in meritevole disgrazia,
poiché avresti sottostimate le diaboliche, scientifiche strategie
comportamentali della cpu; i cinquanta schermi rivelano una curva di
apprendimento a linee ondulate che sanno affermare il contrappasso dell’azione,
che adesso finisci il quadro in dieci secondi, e di nuovo adesso arrivi a
completarlo a contatore in rosso. I capelli blu. Magica è nana, magnetica.
Detiene streghismo. Che ne abbiamo visti di platform potenzialmente
professionali fallire nel settore del character design e squagliarsi
prima ancora di cedere il posto al joystick perché disegnati intorno a sprite
mancanti di fascino carismatico, che la cosa da centralizzare quando si scrive
un videogioco sarebbe il protagonista per dire alla Risky Woods, il cui
supergiovinismo anime influenced magnificatore di stile sapeva catturare
l’attenzione delle utenze Amiga, durante la perentoria ascesa delle console a 16
bit e per quindi Magica in effetti si autodetermina nel suo stadio embrionale a
cagione del rotondismo, ma anche per questo colore pesantemente Amstrad che
contrasta i contorni e trasferisce le superfici sfarzose di lavorazione, un che
di macchine levigatrici del mattone a 220 volt che difficilmente vedresti su di
uno Spectrum, sul Commodore 64. Beh sì il suono non è quello che otterresti col
SID, e ma però la musichetta dello schermo dei titoli racconta, asserisce di
avventure indimenticabili che potrebbero da un momento all’altro verificarsi per
meglio istigare il Nostro luogo parallelo dove stanno i folletti che giocano al
gioco delle cinque pietre con Bue Grasso e Hatsune Miku.