Il
rimanente della Konami delle pagine stellari fondamentali dell’irripetibile dinastia
’85
realizzò per cui di avere scritto a sufficienza il suo tempo, nel Duemilaquattro, che’era il momento di
mandare a Treasure un dispaccio di precedenza perché tutti sapessero quanto la
software house di Gunstar Heroes era capace a revisionare lo shooter
’85 della
Konami che non c’era più e farlo diventare il prototipo di una posizione di sparo
di neoclassicismo apparente ma tuttavia, Gradius V si attiene al modello visuale della saga e non rinnega le
importanti invenzioni fantascientifiche nell’ambito delle grafiche PlayStation 2 degli
anni Duemila; nello sparatore vi è questa distruttibilità cilindrica di
Radiant
Silvergun, evidente nei boss di fine livello, e quest’ascensione
radical chic di Ikaruga che viene
immessa come necessario marchio di regia, eppure Gradius
V è anzitutto un Gradius di coerenza estrema, il quale ancora
riguarda le cose avventurose del jet spaziale Vic Viper, icona irrinunciabile
del videogioco Konami, e per cui verrà dimostrato che
nel 2004 vi era ancora spazio per il bombardamento essenziale dello shooter in 2D,
e che la riesumazione del genere era di fatto necessaria all’immobilismo del
videogioco per giocatori mediocri. Grafiche a parte, qui non vi è alcuna
testimonianza di modernità. Niente continue illimitati. Niente punti di
salvataggio.
Il manuale dello shoot ’em up Treasure prevede,
alla sottosezione Gradius V, che la gestione delle
armi divenga pluridirezionale. Se il grado di personalizzazione dei precedenti
Gradius risultava rilevante, adesso il sistema di upgrade chiede di
estendersi grazie a
una situazione di supporto che cambia, e radicalmente, in base alla formazione di sparo
iniziale. La fase di briefing si presta alle quattro alternative del
“Weapon Array”
per influenzare quindi la direzione della partita, e sarà invero
utile sperimentare
tutte e quattro le vie disponibili a modo di stipularne una specifica, ma quantomeno
inizialmente qualcosa ci dice di optare per il
“Type 1”, che dispone il
potenziamento multisatellitare parallelo alla Vic Viper. Alla luce di quanto
descritto, se non altro per iniziare chi eventualmente ignorasse l’universo di Gradius, si
deve focalizzare sul quinto livello di upgrade di una barra delle
armi che altresì prevede le voci speed up, missile,
double, laser e force field. Tutte armi
performanti e sequenziali, se si esclude lo speed up, eppure è il
potenziamento “option” a spingere il gameplay sul grado di
battibilità vistoché questi opera l’innesto di pod addizionali (fino a un
massimo di quattro) replicanti lo sparo di acquisto, ed è Nostro consiglio
di selezionare il laser, che fa più male, in modo da
spazzare via il primo boss coi pod “option” allineati e passare oltre.
Non è il solito Gradius. Ma è anche il solito
Gradius. Treasure ne utilizza il nome per insegnare alle popolazioni la sua
particolare accezione di gioco elettronico pursempre rimanendo sul rigore
dinamico di un potenziale coin-op, da che perdere una vita nell’intermedio,
non così distanti dal boss, anche significhi l’abbandono delle pretese di
vittoria. Si chiama percezione del livello di tolleranza. I progressi devono
essere lenti ma costanti. Assimilazione. Le strategie di attacco al boss
devono trasformarsi in azione autonoma in modo che vengano di questi ultimi
assorbite le falle, ché si deve agire prima che gli stessi realizzino di
dover fabbricare le cannonate. Il videogioco è cattivo. Ancorché lui non sia
in effetti antisemita quanto un Ikaruga
si vede in lui una Treasure che ambisce a dirigere sullo stato di
post-futuro e devastazione, sull’isterismo, su di una situazione di
antimateria perché la potenza del titolo Treasure arriva in simbiosi con
quest’architettura prolificante fantascienze di estremissimo dettaglio in
quanto vi è luminescenza, è vero, meccanizzazione; in Gradius V le grafiche
rendono giustizia ai microprocessori PlayStation 2 dal punto
di vista del polygon count come sul lato degli effetti speciali e
le strie tagliano lo schermo provocando fluorescenza, e vi è la distorsione
degli sfondi poligonali che spostano la fotografia in un’asse di scrolling
variabile appresso al rumore, il quale dimensiona una possibilità di
continuanza
musicale tra Radiant Silvergun e
Gradius II
arrivando comunque a
indurre soluzioni new wave discretamente grevi a sincronia con le
luci, per dunque ripristinare una linea sonora il cui tridimensionalismo
rimbalza tra le pareti delle astronavi a fare una sensazione di chiuso.
Questo di Treasure diventa, nel 2004, oltreché un sequel che
restituisce splendore, il più riuscito titolo di genere
avvistabile su PlayStation 2.