Visto che
avevano fatto pervenire questa nuova superconsole coi nuovi microchip e le nuove
tecnologie HuCard da otto megabyte fu anche legittimo che le si concedesse nel
Novanta il diritto di precedenza sul PC Engine difronte l’esistente progetto di
conversione del Daimakaimura, ma non stiamo dicendo che su PC Engine il
videogioco avrebbe sfigurato, e possiamo anzi ipotizzarne un port di compromesso
sul genere di Mizubazu Daibouken per quinci privo di parallasse e consistenti
quantità di fotogrammi che tuttavia affianchi il coin-op nella sostanza tal da
risultare infine integerrimo quanto almeno uno Street Fighter II Champion
Edition. Ciò nonostante, è bene che Daimakaimura sia uscito per il SuperGrafx,
qui dove di accomodamenti quasi non ve n’è traccia. Sì vabbè, la risoluzione. E
qualche intempestivo rallentare di frequenza. Ma per il resto, sembra di stare
davanti al coin-op.
Al principio vi era la prefazione animata del rapimento, di Arthur che sul destriero corre a salvare
la sua donna. Sul Mega Drive l’intera sequenza venne tagliata per mancanza di
spazio. Mentre qui adesso Alfa System, cui Hudson gira
l’adattamento poiché non poteva fare tutto lei, ha il margine che le serve per
garantire la presenza di introduzione e avanzanti oggetti animati ingame
in differenziale, in mezzo al bosco, quando il vento scuote gli arbusti nel
girone degli spettri-tornado e le fronde fuoriescono a intenzione
d’infilzamento coi maiali che impugnano la forca. È proprio Ghouls’n Ghosts. I mostri apprestano imponenti: la qualità del segnale trasmesso stabilisce
un’interscambio di onde beta a 13 Hz a cinquanta microVolt da monitorare con EEG
in condizione di stress, sul tubo catodico; a una diagnosi differenziale
dell’apparecchio si è stabilita una persistente assenza di attività cerebrale in
fase Theta-Sigma che ha portato a concludere che il televisore è effettivamente
un elemento inerte. Ma la diagnosi non costituisce un fatto. Per quanto ne
sappiamo, se l’oggetto che si ha difronte sa muovere l’orco gigante e
devitalizzare pixel di grandezza 32x64 l’oggetto in questione è portato a
detenere residui di coscienza foss’anche tramite singoli impulsi elettrici
individuabili entro una determinata zona di transizione del colore.
Daimakaimura ha il potere mistico di un negromante che trasferisce energia
vitale lì dove è dispensabile.
Il gameplay sembra essere riprodotto. Per cui le
routine comportamentali dei nemici, gli adottabili schemi, le tempistiche del
salto e la posizione geografica dei bonus e dei forzieri corrispondono in linea
di massima all’originale programma scritto da Capcom per scheda CP System; in
virtù di questo, e alla luce del fatto che su Mega Drive il livello di
difficoltà era risultato lievemente più basso, andrebbe rimarcato che il
Daimakaimura del SuperGrafx potesse tranquillamente occupare una posizione di
vantaggio rispetto alla imponente macchina di conversione della Capcom almeno
fino al ’94, anno di immissione del definitivo port X68000. Comunque,
l’inferiore numero di vernici si nota appena, sul sistema Nec: abbassando di
tonalità le strutture principali i programmatori fronteggiano la perdita
dell’estensione cromatica nell’artefatto del segnale videocomposito (o anche
RGB) dentro una compensazione verticale di 224 pixel. E il SuperGrafx aveva inoltre
sei canali primari deputati all’audio. Sicché Alfa System riesce a manipolare
con una certa abilità il soundchip della console ricostruendo il rumore
metallico del chipset Yamaha, che quand’anche ancora irriproducibile viene
“emulato” per suonare dietro sitetizzazione; le melodie, armonicamente fedeli al
lavoro di Kawamoto, suggeriscono una profondità d’uso dello strumento
artificiale che solo raramente, e solo in precedenti coin-op di radice Taito e
Capcom, si era affermata all’udito dello scriba in modo così perentorio. Una
conversione fenomenale. Lo si renda noto. Fate un giro di telefonate. Dite a
tutti di cosa era capace il SuperGrafx.