C’era
il fotogramma dell'incursione di un principe nella foresta che in gioventù
incominciò improvvisamente a essere ricorrente a infestare i Nostri sogni da
prima che Rai 1 iniziasse a trasmettere Biancaneve l’avevamo visto prima, lo
giuriamo sulla testa di Nettuno, il disegno animato del cavaliere medievale
portante Excalibur fra i rovi e i mostri dentro il confine dov’egli infine scova
la principessa per vivere con lei e i suoi cortigiani felice e contento forever,
nel castello.
Mari Yamaguchi ebbe visioni equivalenti. Non ne abbiamo le prove
empiriche, dovremmo chiederglielo di persona ma lei è figura talmente schiva non
si fa trovare, ma però non ci vuole chissà quale intuito particolare per
sostenere la tesi di una di lei predisposizione alla divagazione fiabesca più
totale se quantomeno si ha l’ardire di cimentarsi all’ascolto di quanto ella ha
da dire in mezzo la tempesta di neve di Chohmakaimura presso le alture, estasi
di flauti a canneggio largo sopra le due ottave e sviolinate, oboe, orchestre.
Gli zombie sono tipo Frankenstein. Le bare volano. Nel ’92 si era temuto che la
cartuccia del nuovo Ghouls’n Ghosts potesse risultar guasta da che non si
riusciva a saltare oltre le lapidi. Ma poi si realizzò che bisognava premere due
volte.
L’introvabile manoscritto del XIII secolo
“Sul retaggio delle Cronache della Cavalleria e i Racconti di Camelot”
detenuto dai primi fondatori di Capsule Computers e verso il Duemila
consegnato dai medesimi all’Ordine dei Templari della Sacra Romana Chiesa
assieme ai resti del Santo Graal sembrerebbe custodire un’antica profezia di
restaurazione del Cavalierato di Re Artù; stando al resoconto verbale di una
dettatura degli scritti avvenuta tra il XIV e il XV secolo nell’Abbazia di
San Lorenzo in Trento, l’avvento
di resurrezione avrebbe dovuto manifestarsi nell’anno del Signore MCMXCI
sotto forma di “meccanismi aristotelici pagani a sorgenti di luce” da cui
sarebbero fuoriusciti mosaici in movimento di accadimenti soprannaturali a
riguardo di presenze demoniache e rapimenti, sacre armature, cimiteri
abbandonati, navi fantasma. Per quanto ci concerne, e sebbene le ragioni che
spinsero quelli di Capsule a sbarazzarsi del libro ci rimangano tuttora
ignote, si è conferito mandato di ritrovamento del reperto a squadre di
rinomati archeologi muniti di frusta: finché questi non saranno tornati con
testi a confutazione della parola trasmessa si continuerà a credere che il
manoscritto intendesse orientare il leggitore verso il videogioco
Chohmakaimura. Vi è odore di Necronomicon, di maledizione. Non sono da
escludersi passaggi segreti sino ad ora ignorati. Si potrebbe guardare nella
stiva della nave o scardinare qualche porta qualche bara; nel fondo del mare
del secondo livello ci è parso di vedere un forziere sospetto, potremmo
guardarci dentro, magari rinveniamo una chiave d’oro utile ad aprire un
varco per una dimensione parallela di morti viventi alla “Aldilà: e tu
vivrai nel terrore”.
Qualche rallentamento visibile quando non te
l’aspetti non turba l’impatto visuale di codesto Ghouls’n Ghosts al Mode7
facente largo sfarzo di sfondi in multidifferenziale a eccesso di rialzo del
colore poiché si sta dicendo di una versione della Capcom, quella dei giuochi
arcade in “single player”, che sarebbe rimasta inaccessibile all’avanzante
trasformazione del media per ragione d’integrità, per volontà di conservazione
di un codice estetico che doveva essere istanza di una nuova deriva tecnica –
attraverso animazione – anche usando licenze altre, i luoghi stereotipati o le
icone della narrativa popolare; in Chohmakaimura l’adozione del metodo della
trasformazione del fantasy si eleva a forma d’arte, e si può in effetti
dire che l’incoerenza delle icone tra loro messe (mosse) orizzontalmente in
collusione assume un significato di gestualità a conseguenza del direzionamento
de-lineare del vigente sprite in armatura, che si immola al salto verticale, che
contrariamente i suoi precedenti alter ego si prende in carico l’agilità del
penta-atleta contaminando dall’interno la struttura del platformismo arcade.
In Chohmakaimura la deformazione bidimensionale induce la sequenza razionale di
Super Castlevania IV; l’effetto visivo, per cui, avviene propedeutico alla
continuanza dell’atto, risvolto necessario all’innesco dell’evoluzione – e della
contestuale muta – dello scorrimento direzionale plurimo fin sulla zattera a
cavallo delle onde o nell’antro infernale, che senza avvertire inizia diabolico
a inclinarsi a cagione di gravità. Siamo diventati polvere, davanti alle
emissioni luminose di Chohmakaimura. Che non per caso è tra i titoli che hanno
ammantato di luce il Super Nes.