Sì
ma
del resto il Wii, se gli hanno disegnato Tatsunoko vs. Capcom a misura di
transistor arriverà per esigenze darwiniane a proclamarsi opera d’arte di genere
pensante, stante che occorra di sovente un singolo videogioco portante a investire di
volontà cosciente il sistema da
gioco in sé, e lo sa bene il Dreamcast di
SoulCalibur, che la notte tiene
i discorsi, ma è anche imperativo di liberarsi delle connessioni che non servono e
installare postazioni col TV catodico e i cavi RGB a scansarsi di poter solo
immaginarsi di collegare il Component agli Oled HD e farmi crollare tutto il
castello del videogioco studiato per i fardelli Trinitron grigi da trenta chili;
Tatsunoko vs. Capcom: Ultimate All-Stars è l’idea riformatrice del beat ’em
up
bidimensionale degli anni Duemila non solo rispetto a Capcom, che manco ci ha messo
mano, ma proprio rispetto a tutto. All’esasperante oltranzismo tecnico di Shin Nihon
Kikaku. Al preponderante accelerazionismo estetico di Arc System Works. Al
ritornante schematismo cromatico di Rare/Double Helix. Il sistema è semplice:
tre tasti, più uno per lo “switch” tra i personaggi. Talmente semplice che al
Wii si è collegato il joypad technicolor del Super Nes Mini, superiore al
classic controller per via dei bottoni che sporgono di meno.
Il codice del tag team mutato a
perfezione, e si vede che non è abbastanza premere i pulsanti a caso; Eighting, mentalità
arcade radicata in lei dai primissimi Novanta, come una che deve trafficare
coi videogiochi di combattimento per un discorso di forza maggiore sa
concedersi occasione di allontanare un miglio almeno la Capcom di Street
Fighter IV nel nome del cel shading tre punto zero, un atto non meno
che supremo nel rendimento di una superficie bidimensionale in pelle
rifinita da trapiantare sul modello poligonale spurio, così che questi
dovesse per volontà divina ricondursi alle inespugnabili roccaforti Neo Geo
come sorgente di una nuova dinastia di videogiochi post-processati
all’esigenza del disegno fatto a mano; è non pensabile che Ultimate
All-Stars viaggi soltanto a sessanta fotogrammi, saranno almeno tre volte
tanto a guardare la non possibile fluidità con cui Yatterman-2 e Joe il Condor
si scambiano a schermo fior di complimenti a menzione di extra movenze
luminescenti e robot satellite. Eppure, nel trambusto, a manovrare è questa
sottile e coerente logica d’incasso di colpi tra di loro connessi, non quel
senso di precalcolo il cui modello al pattern namchiano, versante Tekken, ebbe florilegio
pure rivendicando l’usufrutto attivo della profondità; per Eighting la terza
dimensione reale non fa testo: è la bidimensione “spaziale” a definire la
prospettiva utile alla contaminazione laterale del colpo, che resta
allineato all’asse frontale, ma che diventa pluridimensionale su cognizione
di stile, assiduo ricondursi al plasticismo fotografico di un Yoshiaki
Kawajiri, un Takashi Miike.
Si è propensi a indulgere all’impulso di
riservarsi un canale di comunicazione carnale con Pretty Jane il Cigno, fantasia
quasi erotica degli ’80 preliminari, quando non s’era adulti abbastanza per
ipotizzare certe cose stretti nella morsa di una Battaglia dei pianeti da
combattere su Junior TV e un episodio speciale dei Puffi da non perdersi a
seguire su Italia 1, pur sebbene Puffetta qualche dubbio circa le implicazioni
di razza sapeva insinuarlo così, in modo subdolo; naturalmente Miss Doronjo
corrisponde, ma è tanto per fare conversazione dacché il model design di
Tetsuya Tomotoshi e Yumi Arai, che si era dichiarato vincitore sin dall’intro
animata, usa riprodurre non unicamente il pixel e il suo adiacente colore ma
invero l’anima televisiva del caratterista sceneggiato a schermo: la
squadriglia Capcom, non così telegenica, viene ri-caratterizzata sulla linea
forbita degli eroi Tatsunoko perché s’insista sul fatto che il videogioco
Eighting è oggetto che trascende la funzione dell’opera pensata per
intrattenere; e non gli si dovrà muovere il cavillo dell’assenza di una
scrittura originale poiché non vi sarebbe stato luogo efficace quanto il tag
team versus a rappresentarne le suggestioni anime, che scorrono
attraverso il potere della sciabola di Tekkaman Blade e il morso letale del
segugio-robot Flender, che al tempo di Casshan ci fece piangere, e che ci
percuote ancora col suo essere fiero, sinuoso e redivivo. Nel 2010 Tatsunoko
vs. Capcom: Ultimate All-Stars, nel riportare in auge il movimento culturale delle
serie animate giapponesi anni ’70 finisce anche per fornire nuova linfa alla
causa del picchiaduro bidimensionale a incontri. E non è che lo sappiano fare in
molti. Bisogna possedere talento. Bisogna chiamarsi Eighting.