Sasabe
sapeva che il potente Doh sarebbe riemerso ed era già pronto al round II, avvinghiato alla capsula di comando del
Vaus, baluardo degli universi. Stessa storia di stanghette, palline e mattoni ora in
metallo, poi in vetrocemento, poi in oro massiccio infrangibile. Ma non se ne fa a meno,
un anno più tardi, benché distratti da R-Type e altri macchinari evoluti.
Revenge of Doh riesuma un metodo di controllo analogico che già era sembrato inviolabile
agli occhi del cultore di Breakout e che indubbiamente possedeva
margini di evoluzione ristretti, se non in accordo a variazioni sul design che
nuovamente sostenessero la rotazione della manopola e l’abbattimento delle
pareti. Quel che Taito aggiunge in Revenge of Doh non è tanto, eppure il tempo
avrebbe sancito che questo tipo di videogioco non muore e che si può continuare
a realizzarne riedizioni continuando a seminare epigoni anche su tre e sessanta
– Arkanoid Live! – e Nintendo DS –
Arkanoid
DS, con rotella al seguito – sempre per quel fattore non definibile che
promuove la elementarità sopra il vetusto, l’arcaico, il vecchio, il risaputo. E
infatti, ritornare agli spazi di Revenge of Doh si è rivelato appagante anche a distanza di ventiquattro
anni.
Una cosa: i portali. Nel primo non c’erano. Sgretolati i
tasselli vi era il livello seguente. Al contrario, adesso si ha facoltà di ramificare la
direzione dei percorsi – ambedue le barriere laterali mostrano una apertura
– cosicché la
ex progressione a linea retta diventi bilaterale e razionata tra i sessantaquattro quadri
complessivi. Prevedibilmente si assiste all’ampliamento dei power-up a compresse e quindi
alla introduzione di diavolerie come il Twin, che duplica il Vaus svelando un
pericoloso spiraglio centrale verso cui la pallina tende a direzionarsi manco avesse una
intelligenza propria, o come il Reduce, che dimezza la larghezza della nave
contrapponendosi al preesistente Expand. Il disegno degli schermi è mistura di
astuzie e perfidie. Abbiamo nuove formazioni di mattoncini semi-indistruttibili e
semoventi a rallegrare il surreale annullare verticale unilaterale a velocità irregolare,
ossessione generazionale dell’infilare la biglia nel pertugio giusto, per non dover
perdere vite e vite già nel quinto livello poiché la mano è più nevrotica del normale.
Precisione. È tutta qui l’invenzione della Taito maledetta, pre-novantesca, cervellotica
più del cervello gigante che predispone alla sfida finale col Doh, impari e arcade in
senso stretto, dove se ti succede di sopravvivere ti metti a sbraitare epilettico e a sparare i raggi al
laser che hai acquisito con la pillola arancione.
Lo diciamo? La edizione X68000 di Arkanoid: Revenge of Doh,
compilata da SPS e immessa qualche settimana dopo il coin-op, corrisponde al coin-op. Ma
è forse uscita troppo presto. Fosse stata inclusa nel raccoglitore di classici targato
Dempa – la Video Game Anthology, a partire dal Novantadue – ci saremmo ritrovati col
paddle dell’arcade inserito nella scatola. Però poi si scopre che il gioco è abbinabile
all’XPDL-1 fornito in bundle con Cameltry,
e ci si mette l’anima in pace. Ma già col solo mouse il controllo del Vaus
risulta estremamente preciso e replica in tutto la sensibilità della
rotella, sebbene l’utilizzo dell’attrezzo rotante realizzi la condizione di
gioco ideale. Ciononostante viene disposta l’opzione di controllo via joypad
o tastiera, con l’apposito tasto di accelerazione che va ad affiancarsi al
pulsante dello sparo. Le grafiche, pur stilizzate, determinano colori
viventi e traslucenze da impatto che diventano porzione essenziale del
gameplay; gli alieni danno fastidio ma sono pur disegnati da Dio in persona
– da Doh in persona – e incollati alla non-realtà arkanoidiana
più in funzione di un bisogno stilistico che come reale componente di
struttura. I suoni funzionano. Metallici, nitidi, risuonanti echi da
profondo onirico penetrano i timpani, sigillano in un contrasto di
percussioni martellanti l’incubo spazio-temporale di Mr. Sasabe e sanciscono
la effettistica standard degli episodi futuri. Arkanoid: Revenge of Doh X68000 è sequel
decisamente riuscito benché estremamente simile al precursore, nonché port
che reca imperitura giustizia al cassone della Taito.