ALIEN BREED di @Luca
Abiusi
Dalle
zone preliminari si estrae isolamento e orrore, angustia, datoché Alien Breed
s’indentra nel cuore pulsante del videogiuoco fantascientifico per sedici bit, e
diffonde presto un che di interazione per labirinti. Qualcuno o qualcosa osserva;
l’astronave è un coacervo di
rettangoli e rappresi loculi, chiazze umide come se di acido, schizzi di
sangue;
il terrore definisce lo stato dell’ansia. Per cui Alien Breed, parallelo
a coin-op tipo Crack Down, vorrebbe rifare il cinema delle basi spaziali
infestate, degli alieni che sbucano all’improvviso; si è appena fatto fuori un insetto
gigante che dal box di un terminale ne fuoriesce un altro più feroce. Alien Breed esige: niente passatempo, scarsa abitabilità. A
differenza dei maggiori blastatori a tema della Capcom, dove procedi in
orizzontale a uccidere i mostri, Alien Breed procede in otto direzioni a
esasperare il gameplay.
Ma non significa che è ingovernabile. Solo, e
qui Team17 fa quel che gli riesce meglio, si arriva a coesistere con
determinati meccanismi portati al limite, i quali ci
vedono generalmente privi munizioni, con l’energia bassa, attorniati da una
diecina di bestie feroci senza vie di fuga subitamente avvistabili. Ci si abitua, per quanto
ne sappiamo. L’esplorazione delle
zone labirintiche aerospaziali regge lo stato della tensione,
nell’atto del percorrimento trasversale, per progredire nel polpettone sci-fi di serie B degli anni
’50, dinnanzi alla
necessità di allontanarsi dalle aree infestate. I programmatori fanno in
modo che anche in condizioni di assoluta impasse non ci si distanzi dal
videogioco e si resti
ad attendere l’inesorabile con la convinzione di poter vincere sparando,
quando invece bisogna scappare. E veloci. Ottimo, il Team17. Se si guarda
al level design reticolare d’interconnessione fra camere e alla
cosa dell’oppressione, che manco a dirlo dice di ritornare allo spazio malato di
Alien Syndrome, risulta centrale l’innesco dei terminali Intex,
spiraglio unico di sopravvivenza grazie a cui i protagonisti possono
rifornirsi degli upgrade delle armi e degli
indispensabili kit di pronto
soccorso (ripristino dell’energia). I crediti utili alla spesa andranno
recuperati al camminamento. Li si trova sfusi per i blocchi. La modalità per due giocatori è
assolutamente consigliabile, dacché oltre a fornire una superiore mole di
intrattenimento cauterizza, attraverso la variabile del co-op, il
coefficiente medio di ostilità.
Alien Breed è l’esperienza immersiva. Niente a che
vedere con gli action game di concezione modernista o con gli sparatutto in prima
persona. Qui si tratta di muovere all’interno di un ambiente difforme,
che vive attraverso il suono elettrico e dispone per la conquista
dell’esplorazione, l’ossessione dei tunnel intercomunicanti. L’azione è
incessante. Sa alternare momenti di attacco totale a situazioni di ansimante
corsa contro il tempo. Le chiavi sembrano non bastare mai, dio stramaledica il Team17:
ne largisce unità contate e posto che queste esauriscono rincara, rende le
porte a prova di proiettile e dice che bisogna morire. Un difetto cui
avrebbero rimediato
nella successiva edizione del ’92, ma che con un minimo di elasticità mnemonica potrà
essere puranche aggirato nella versione testé immessa in vena. Estetiche di
consistenza, non
si discute. La visuale soprelevata riesce a determinare una fantascienza metallara dal
forte impatto underground, impregna di un dettaglio non
raffrontabile, per i tempi,
e di esperimenti cromatici che sembrano aumentare i 32 colori standard di Amiga realizzando
questo
display laccato, ricco di tintura. Il disegno del singolo meccanismo ferroso si fonde al cubismo generante la
mappa,
a voler restituire la claustrofobia, una infrastruttura visiva pesante di
detriti e materia disumana. Tocco di classe: quando
si spara, la
luce della detonazione si riflette sul corpo. Acustica di consistenza, non ci piove. Dal
marchevole tema iniziale agli effetti ingame
Alien Breed reclama con una certa insistenza un impianto stereo supplementare munito di
cassa del surround, per creare la diffusione a largo spettro della stereofonia
e degli effetti che esplodono, i campionamenti delle raffiche dei fucili, lo
stridente rantolo delle creature.
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