EAT THE WHISTLE di @Luca
Abiusi
Poi
Eat the Whistle verrà riposto
tra gli oggetti smarriti degli anni ’Amiga, spettacolosi tempi di simulazioni che
potrebbero insegnare l’arte del tirare il pallone in porta ai figli di EA Sports, loro che
si son persi l’età dell’oro dei giochi calcistici d’Europa, quando un titolo come
Sierra
Soccer anticipava l’engine tridimensionale del
Fifa Soccer per 3DO o quando
un Retee!2 [European Champions] passava dalle visuali laterali a quelle aeree in tempo reale a mezzo
attivazione di un tasto. Però Eat the Whistle arriva in epoche posteriori. Nel
Novantotto. Game Over Amiga ma spiragli di mercato ancora buoni allo sviluppatore amatore,
che se osservi gli omini rotondi e le palle paffute diventa il più veterano della scena,
e probabilmente lo era pur senza lavorare in Sensible. Ci vogliono cinque tasti del joypad
del CD32: giusto lo shift di sinistra sembra non rispondere a particolari funzioni,
benché non ne sarebbero richieste eccedenti al cross, al lancio in profondità, al
passaggio corto, al tiro e alla corsa. Multitastità degna del Super Famicom di
Perfect
Eleven.
Barretta Kinder a forma di piffero: in un certo senso
Hurricane Studios arrischia la sua idea di calcio al cioccolato a partire dal
titolo, ma non paga dazio a Ferrero. Piuttosto, ripristina il soccer pseudoarcade
della Konami di un tempo, allorché si pensava che
Perfect Eleven 2 fosse la
espressione massima del calcio in orizzontale e che mai la evoluzione dei microchip ne
avrebbe scalfite le dinamiche tutte bidimensionali, ridosso la rivoluzione
tridimensionale. Eat the Whistle osa. Ora qualcuno dirà che il titolo poteva
essere più fluido – ma con una scheda 030 a 50MHz, che l’utente Amiga sa di dover
possedere, il gioco viaggia deciso in regime di trenta fotogrammi al secondo
– eppure si
è persuasi che la trama, la materia sgorgante dalla trama dei pupazzi palla a terra o a
palombella rossa – sotto la neve, col pallone rosso – possa compensare eventuali lentezze
e anzi soverchiare i limiti di scorrevolezza accertati sui 1200 a manovella. Assoluto
gameplay. Le scorrerie di fascia vanno liberate con sventagliata a scavalcare, a premiare
il bambolotto che corre e si allunga il pallone à la
Mexico 86, che
viene anche menzionato sull’aspetto della spettacolarità delle azioni performabili al
volo in rovesciata finale o a incornare a testa d’ariete. Uovo Kinder,
Eat the Whistle:
la sorpresa è un sistema di gioco che mira a privilegiare in metratura uniforme gli
aspetti arcade e simulativi della partita e pure con modalità mirate, sicché si debba
scegliere per un tête-à-tête sullo stile di
Speedball 2, con
potenziamenti a razzo, o per un match ortodosso e quindi sfornito di
power-up.
Evidentemente devoluta ai rimasugli di utenze Amiga
grossomodo giacenti in Germania e Inghilterra, nel tardo ’Novantotto, la opera di Hurricane
scrive di calcio post-coin-op meritorio di largo credito nello squarcio del genere sempre
per l’irrisolto affare del videogioco del calcio che dovrebbe simulare fino al girone
della replicazione parziale e irridere nella misura in cui la parodia è veicolo di
intrattenimento. Il veicolo dell’intrattenimento. Lo si diceva l’altro ieri appena che il soccer
elettronico avesse urgenza di ritornare agli stadi primordiali definiti da
Jon Hare e Chris Chapman nei primi Novanta, adesso che ci si asserve alle annuali truffe
verso l’umanità targate EA e Konami, manco se l’appassionato non avesse già stanato
questa struttura a micro-aggiornamenti ruotante sulla dispensazione di micro-cazzate una
tantum per ammansire masse che per sette giorni pensano di avere per le mani il
calcio definitivo, quando invece tengono conficcato nel didietro il palo della luce definitivo. Questo
è il videogioco del calcio. Quello che da giorni gira e rigira sull’Amiga nostro
amico per convincere Nostra Maestà che gli ultimi dieci anni di evoluzione videoludica
non siano così rilevanti, dal punto di vista del darwinismo applicato alle
simulazioni calcistiche. Ché un gioco del calcio che offre cambi di gioco di sessanta metri
e azioni a tocchi di prima e cucchiaino al limite dell’area, servendosi di un engine
bidimensionale che non tema confronto con i più recenti motori
tridimensionali, e che produce tali quantità di animazioni pupazzose e
collisioni generalmente ottime – fatta eccezione dei poteri psichici di cui
gli estremi difensori sembrano usufruire, in merito a certe occasionali
respinte performate dal centro della porta – dice di
sentirsi a suo agio con i più grandi. Quelli che visualizzano dall’alto.
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