1941 Counter Attack di @Luca
Abiusi
È stato realizzato nel lontano 1990, ma se lo avessero rilasciato lo scorso
mese in pochi ne avrebbero rilevati gli anacronismi estetici. È uno shooter tipico
ma allavanguardia questo 1941 Counter Attack, che si dispone in verticale a 90
gradi per adempiere alle esigenze del pubblico giapponese, che vuole il
visus allungato come la fusoliera dei modelli Zero Fighter a produzione
negli anni Quaranta. Ora i livelli possiedono colore, riversano dettaglio,
si animano velocemente, ma lo spessore vien fuori da questo gameplay che non rende
la frustrazione del bombardamento a tappeto, come a produrre una sfida interessante,
di maturazione. Nella sparatoria, il suono sovviene ispirato: grazie agli effetti di detonazione e
alle musiche avvincenti la opera Capcom mira a completarsi e a realizzare
tecniche acustiche di accordanza al compartimento di guerra accorrente a
video. Ciò detto, Counter Attack si dimostra abile nel
riprodurre gli stili dei precursori e al tempo interessante quando ne
sancisce l’evoluzione.
Indubbiamente, ci troviamo difronte a
un ogggetto serio. A realizzare l’effettivo divario con i
1942 e 1943 ci
pensa l’MC68000 delle nuove motherboard, che porta a una
riscrittura dapprima
cromatica, e poi sostanziale sul numero degli elementi bidimensionali in movimento. Le
visuali, in Counter Attack, esprimono trasformazione nel verticalismo chirurgico del
video, che appare raddoppiato in dimensioni rispetto agli episodi antecedenti, che impone
il dettaglio particellare dei meccanismi giganteschi da ammirare e poi abbattere. Gli
sfondi sono aperti, sconfinati. È possibile scorgere un mondo di conflitto
aereo globale:
navi corazzate, portaerei, carri armati giganti, missili a reazione, sottomarini, velivoli
prototitpo nazisti. Aerei prototipo giapponesi. Lo sparatutto eccelle sul pezzo della
traduzione dello scontro
titanico, si prodiga nell’apportare dettaglio lì dove vi è ferro e lamiera, si impegna
nella applicazione scientifica delle gradazioni del colore. Per quanto ancora lineare, il level
design garantisce una successione di eventi bellici tendente al pachidermico,
dopoché per ogni sequenza si avvista una stazione nemica che occupa almeno metà del display. La
fluidità è naturalmente garantita dall’alto livello di programmazione.
Il titolo Capcom esige violente sessioni di sparo. Il
pilota
viene iniziato a una isteria di riempimento e deve imparare a sopravvivere alla
confusione. Grazie alla possibilità d’acquisto tanto di un upgrade delle armi che del
leggendario loop (eredità di 1942),
lo sparatutto riesce a dispensare efficienza proprio nelle tempistiche dello
spostamento, che sono adesso subordinate a un misuratore a cinque tacche. Il
livello di ostilità, che nei referenti era piuttosto disallineato, beneficia
dell’evoluzione filosofica dei coin-op Capcom realizzati dal ’90 in avanti
dove generalmente grande subentra la produzione di fuoco ed effettiva
diventa l’opportunità di sgretolazione di massa, come necessaria la
opportunità di rastrellamento bellico.
Beam
a caricamento. Scansamento. Tra i power-up appare
una schiera di aerei ombra che si affianca al mezzo per triplicarne la
copertura. La frequenza del proiettile è progressiva. Due bombardieri
stringono il nostro ai lati, arrivando inesorabili dal basso. Vale a dire
che la finestra si estende, e che vige la regola dello stazionamento
variabile di contro lo schieramento alle zone più meridionali, che è in
questo caso l’unica tattica da non applicare, sempre che non si conosca in
anticipo il tempo di arrivo del nemico.
La conversione
SuperGrafx, acquistata a suo tempo da
tutti e dieci i possessori della console, grossomodo riafferma quanto visto
in sala giochi, pur nella forzatura orizzontale del televisore. Cosa che non
influirà più di tanto sul consumo.
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