FINAL FIGHT
di @
Luca Abiusi

Copia di finalbig.jpg (363265 bytes)Si tratta di tornare su Final Fight e di buttare le mazzate sempre, poiché a fine anni Ottanta il coin-op Capcom era il manuale del picchiare a scorrimento e perché è grazie a Final Fight, con Street Fighter II di là da venire, che le tecniche visuali iniziano concretamente a evolversi. E già si avvista in questi tre prototipi la personalità dilagante che vuoi o non vuoi determina e direziona il gameplay di marginale imperfezione strutturale; oltre il suo essere esportatore di carisma e violenze come non se n’erano visti mai, Final Fight suggerisce di soccombere dolcemente sul minimo guadagno del pixel al gettone, fare microconsumazione, allora che si assume di dovere cadere presto, seppure che Final Fight è nell’Ottantanove il videogioco da provare per forza, non ci sono cazzi, ci sono i panzoni. Ma dopotutto Capcom ci aveva visto giusto a disegnare la Metro City dei loschi figuri, dei punk, delle prostitute dai capelli rossi e i tacchi alti che attaccano a calcioni. I nemici: altra caratteristica portante che realizza lo stile del picchiatore Capcom. 

Quel che si deve fare è premere il pulsante di fuoco a oltranza e con manovra di tempismo trasformare l’atto in una serie di mosse di scaraventamento e atterramento con effetto domino, a fare del male quattro alla volta, a procurare invalidità permanenti mediante gomitate, spintoni, calci in faccia, spranga, coltello. Lo scenario della metropolitana è un film di reiterata visione ma che anche funziona nell’idea del prodotto che deve approssimare gli spazi rispetto a un bisogno di colonizzare la sezione che arriva orizzontale; finché il genere restò in piedi, Final Fight rimase la più influente materia d’ispirazione per lo sviluppo di un certo tipo di gameplay, di un determinato quartiere estetico di bidimensione sporca e fondali generosi per dettaglio e parallasse persistente. I grattacieli. Le strade sporche. E’ importante ravvisare una solida animazione degli sprite, che per altro sono anatomici e assolutamente caratterizzati su taluni fisici di guardiani di fine livello che superano la metà dello schermo, e sebbene le musiche attestino la media delle produzioni Capcom gli effetti restituiscono il mestiere della variazione ambientale circostante col rumore del cingolo sulle rotaie, o traverso l’indimenticato ultimo quadro, dove si sale sul grattacielo del boss. Final Fight è un Double Dragon con le grafiche potenziate: sovviene quindi un grado di sfida sensibilmente migliorabile, nonstante le superiori meccaniche difronte a Technos e al resto del videogioco arcade non pensante.

Il consumo è su livelli dove che si deve determinare in coppia, ché Final Fight sembra esaltare questo tipo di interazione a quattro mani e ad arma doppia e sicché va detto che il beat’em up è piuttosto esigente nel gioco in singolo, e sebbene il suo fare ostilità aumenti la durata dell’esperienza sarebbe stata opportuna un’intelligenza artificiale di meno artificiale e più umana al contatto fra sprite. Ma tant’è, il sistema di controllo di precisione e funzionamento consente di performare un vasto florilegio di combinazioni, ivi compresa la classicissima mossa evasiva (quasi un bug) che colpisce gli avversari contestualmente al salto all’indietro. Ogni schermo trattiene una vasta selezione di feccia. Ma i malfamati inediti vengono introdotti piano piano. Urge applicare la costante del pattern scientifico. Al boss vi è un ciclo di mosse da portare a inganno, ma si dovrà morire prima. Che non sarebbe neanche un problema adesso col MAME, eppure la frustrazione del dovere fuoriuscire dalla logica d’impatto per imparare a ragionare come la cpu potrebbe causare il prematuro invecchiamento dello strato cutaneo. Ma controindicazioni a parte, risulta naturale considerare Final Fight un titolo guida per la proliferazione delle meccaniche del picchiaduro a scorrimento laterale, pur malgrado i suoi limiti oggettivi, e anche nel suo riferire di una software house che ancorché svezzata era ancora giovane, perfettibile; Capcom staziona nella plasticità dei combattimenti esaltando i bicipiti e la figura del maschio statuario, trattando le donne come mignotte, creature di serie b. Grazie a Chun Li e Street Fighter II, la stessa Capcom avrebbe riconsiderato la sua posizione riguardo all’edonismo raeganiano applicato al videogioco, ragion per cui si è portati a definire Final Fight quale ultimo prodotto di genere degli anni Ottanta.









 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Final Fight - ファイナルファイト -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1989
  N. Giocatori 1/2
  Produttore Capcom
  Sviluppatore Capcom
  Designers Akira Nishitani, Akira Yasuda
  Compositore Yoshihiro Sakaguchi
  Sito Web www.capcom.co.jp
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Laterale
  Risoluzione 384 x 224
  Formato PCB - CP System
  Emulazione Completa [testato su MAME]
  Genere Beat ’em up
  Rarità
  Quotazione 90 - 130 €
  OST Si [Final Fight - G.S.M. CAPCOM 3 -, 1990, Pony Canyon]

 

Un titolo dal simile potenziale fece presto a essere tradotto per tutto. Qui in occidente arriva grazie a US Gold, la quale ne delega lo sviluppo a terze parti perlopiù non in grado di realizzare un port di simile complessità, sicché si ebbero gli adattamenti-horror per Atari ST (scrolling a scatti, grave lentezza delle animazioni, colorazione assente), Commodore 64 (la morte) e Amstrad CPC (meglio non dire). Su Amiga, benché sempre penalizzata da un pesante ridimensionamento estetico, la conversione è salvabile sul lato del gameplay (il co-op per due giocatori è mantenuto) e della velocità. Su Spectrum gli sprites sono eccellenti. Peccato che i programmatori abbiano trascurato il resto. Prevedibilmente, il conforto arriva dal Giappone. Viene quindi realizzato un discreto port formato Super Nintendo, con grafiche di richiamo al coin-op e suoni riusciti, che però non consente l’utilizzo di Guy e taglia il gioco a due. Il livello “Industrial Area” viene inoltre rimosso. Sarebbe in seguito uscito Final Fight Guy, con appunto Guy guidabile ma col multiplayer ancora assente. A occuparsi dell’edizione MegaCD fu Sega, e che dire. La riscrittura avvicina l’arcade in modo clamoroso, e oltre a preservare personaggi e modalità a due introduce livelli inediti e una colonna sonora suonata su tracce CD. Ma comunque, è su X68000 che la conversione definitiva del videogioco prende forma: grafiche riversate in pixel perfect (con giusto un paio di sprites mancanti), suono MIDI opzionabile, miniCD della colonna sonora allegato alla scatola. Nel 2001 esce Final Fight One. Si tratta sostanzialmente del port Game Boy Advance di Final Fight Guy, anche se il titolo presenta infine una serie di aggiunte mirate al miglioramento della precedente versione, ed è per cui avvistabile una superiore affluenza di sprites, oltre che il multiplayer via link-mode. Industrial Area viene altresì ripristinato. Per mezzo di cheat code, il gioco consente di utilizzare le versioni “Alpha” di Guy e Cody. Nel 2005 Final Fight sarebbe arrivato su PlayStation 2 e XBOX via Capcom Classics Collection Vol. 1. Nel 2006 sarebbe tornato quale contenuto bonus dentro a Final Fight: Streetwise con gli omaggi di Ultracade, ma in una edizione ri-emulata veramente male. In Final Fight: Double Impact (2010, XBOX Live Arcade e PSN, in coppia con Magic Sword) il videogioco è proposto in arcade perfect con il filtro di scanline e l’opzione di una colonna sonora alternativa. Su iOS, nel 2011, il gameplay è compromesso dal touch-screen. Però le grafiche restano eccelse.