STREET FIGHTER II: The World Warrior di @Luca
Abiusi
Se al primo Street
Fighter si addebita la consacrazione del picchiaduro a incontri, a Street Fighter II si
deve la nobilitazione delle idee alla base dell’uno contro uno. Dopo Street Fighter II
l’intero settore dell’intrattenimento elettronico comincia ad assorbire le usanze di madre
Capcom manco si trattasse del Vangelo, e così Data East realizza
Fighter’s History quale
clone del nostro meritandosi una richiesta di indennizzo per plagio,
e millemila altre
software house che fanno uguale, con giusto l’accortezza di non ricalcare gli sprite di Ryu
e Ken. Hadouken. Shoryuken. Pesantezza. Il fisico di Street Fighter II è scolpito poiché
sono gli sprite a restituire l’anatomia delle mazzate, sprite grossi e definiti, e
finalmente ci sta un personaggio femminile – Chun Li – che fra gli otto è anche quello
dominante. Altro che Ryu. Altro che Ken. Street Fighter II è rivoluzione a schede CP System I
per le
utenze che avevano appena finito di giocare a
Final Fight e che pensavano non si
potesse aumentare ancora la dimensione della bidimensione quasi anni Novanta, e già che
si era nel Novantuno, ma nessuno si immaginava cose come lo spinning bird kick.
Street Fighter II è palle di fuoco, pugni
potenti. Le tecniche di combattimento si evolvono verso la multiperformabilità dei calci
e dei montanti cosicché chi attacca ha facoltà di fare del male opzionando direzioni di
offesa strutturate, che siano efficaci selezionando l’uno o l’altro combattente.
Ingeneroso uscirsene oggi che Ryu e Ken avessero de facto una cernita di movenze
mediamente più estesa, loro che erano i protagonisti e potevano permetterselo, e semmai
il pestatore Capcom concede qualcosa nelle intelligenze artificiali, quando puoi mandare
al tappeto Blanka mediante swapping sulle tre velocità delle fireball. Ma la personalità prevale. La centralità
delle caratterizzazioni fa incetta di quel che resta del gameplay e decide che fare
le capriole
volanti appaga, che afferrare l’avversario con due o più prese non si era visto ancora,
che alternare le super mosse con quelle standard è pratica necessaria al completamento
stilistico di un combattimento elementare eppure tecnico, tecnicista, tatticista quando vi
è da equivalersi in un terzo round coi due avversari rimasti a tre quarti di energia. Street
Fighter II è il nuovo beat ’em up. Il nuovo videogioco. L’appeal di una console si misurava sulla frequenza dei port e degli update di
Street Fighter II di cui questa diventava beneficiaria, e guarda il caso nei
primi anni Novanta fu il Super Nintendo, che
rispetto alle concorrenti Sega e Nec soleva portarsi a casa le conversioni
della Capcom con largo anticipo a imporsi a livello planetario.
Abbiamo sei tasti e centinaia di combinazioni possibili. Ma
soprattutto, ognuno degli otto pupazzi animati possiede quella unica mossa prevalente che
poi inizi a storpiare e dici “ho fatto la rotella con Blanka, ho fatto il
pugno volante con Ken, ho fatto l’elicottero con Chun-Li, ho fatto
l’affettatutto con Honda, ho fatto la presa tipo Hulk Hogan con Zangief, ho
fatto ho fatto e ho fatto” mai così felice di avere imparato a gestire le
mezze lune, i quarti di luna, i quarti di mezza luna, i sopra e i sotto, i
diagonali, i destra e i manca che in Street Fighter II sono la risposta a
tutte le preghiere dell’estimatore del primo Street Fighter, che era
cazzuto, ma che per riuscire a eseguire la fireball dovevi sradicare la
manopola del cabinato, che avresti in seguito trattenuto come trofeo di
guerra. Street Fighter II è gli intermezzi della distruzione della macchina
e della distruzione dei barili, per fare punteggio. Street Fighter II è il
tattà, tattà tatatataaa del motivetto iniziale, superuomo ariano sferra
gancio a schiavo negro in quanto che negli anni Novanta si era ancora tutti
quanti razzisti, si vede il grattacielo degli uffici Capcom ergersi fino a
rivelare l’insegna del titolo. Si rimane in alto. Street Fighter II è una
grafica che quando vedi il pavimento scrollare in prospettiva dici che non è
possibile, e che quando vedi i salti acrobatici di Chun-Li dici che non è
possibile, e che quando vedi lo sfondo del tempio nel quadro di Ryu dici che
non è possibile pure ancora sperando in una
conversione Amiga possibile, che poi si sarebbe rivelata naturalmente
impossibile.
Street Fighter II è un character design che volge a Occidente e si fa
apprezzare proprio perché volge a Occidente e sfodera pettinature terrificanti, tipo
quella di Guile, tipo quella di Ken. Street Fighter II è un ricettacolo di sittanti
stereotipi e futuri stereotipi che giocarci adesso equivale a guardarsi in fast forward il
videogioco giapponese – e non giapponese – dal Novantuno al Duemiladieci.
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