STREET FIGHTER
di @Luca Abiusi

streetcover.png (45003 bytes)Anno ricco d’invenzioni il 1987, nel campo dei videogiochi. In arcade erano usciti Black Tiger e Rainbow Islands facendo clamore ma nessuno osò immaginarsi quel che sarebbe accaduto cinque minuti dopo nel Palladium, quando che installarono il cassone di Street Fighter, pestatore a incontri dove si vestivano i panni di Ryu, un karateka senza macchia arruolatosi contro i più temibili combattenti del globo. Nessuno aveva nemmeno provato a ipotizzare la rivoluzione dell’idea di questi lottatori statuari realisticamente animati, di grafiche dal dettaglio impensabile, ’sti fondali che disegnano luoghi urbani e muraglie cinesi, di prove di abilità a spaccare i blocchi dei mattoni, in mezzo a folle di spettatori, tra un livello e l’altro. Il genere del picchiaduro a scorrimento, che grazie a Technos poteva ancora esercitare il suo fascino tra gli astanti di metà anni Ottanta, inizia a piegarsi a tale spettacoloso tirare di palle di fuoco e di calci multipli, che sono ancora adesso mosse-manifesto con tutti gli episodi che la saga ha nel corso dei decenni generato.

Street Fighter era diverso. Prima che il beat ’em up Capcom irrompesse, il metro di riferimento per il genere poteva essere Double Dragon, ché fu Capcom a inventare la meccanica a incontri focalizzando il combattimento tra due lottatori, inquadrati in una schermata che pure nello scrolling tenesse i margini ben delimitati; il dovere combattere dentro a un’area di gioco ristretta portava dunque a considerare il picchiaduro come a un surrogato marziale approfondibile, datoché il fine ultimo non era più quello di superare il quadro, ma bensì di scoprire le mosse. Il che ci porta alla questione basilare delle fireball. Eseguire le combinazioni a mezza luna per poi vedere realizzate le sfere infuocate era il motivo del gameplay, il virtuosismo da svelare a quelli che stavano dietro, che non le sapevano fare; poi c’era lo shoryuken, l’uppercut da realizzare in avvicinamento che sottrae più delle fireball che se riesci a eseguire puoi tutto. Anche prenderti le chiavi della sala. I comandi rispondevano con un ritardo allarmante ma alla fine importava relativamente, dal momento che l’obiettivo era di fare del male al joystick, oltre che all’opponente, in questa epoca di rivoluzioni in cui il “lag” non si sapeva che cosa fosse e ci si concedeva al cabinato a due schermi come all’invenzione definitiva da portare alle tecnologie a tubo catodico. 

C’erano questi bambini ciccioni che reclamavano posizione quando Noi si era in difficoltà al quadro del punk, e potevi al più allontanarli sferrando loro dei calci laterali. Ma poi si spostavano, e continuavano. Sono cliché che fanno storia e che sono parte del contesto cui Street Fighter prestava i suoi servigi di pestatore uno contro uno pieno di trucchi e bugs a cui attingere se davvero si vuole ultimare, benché ultimare fosse una chimera, con quel boss tailandese che faceva paura solo a vederlo. Però si poteva quantomeno arrivare al penultimo stage accumulando esperienza e innalzando il grado di attenzione quando a occupare il coin-op erano i veterani, quelli che vivevano in sala e che avevano messo su famiglia vicino al cassone di Tehkan World Cup con un secondo giocatore simile a una donna, che non poteva di certo possedere la vagina nell’Ottantasette, il secondo giocatore, in una sala giochi. Quindi scoprivi che nel quadro del Monte Rushmore era sufficiente colpire Mike con un pugno e mettersi in parata in una estremità, ché tanto il negrone era un automa. E con ciò Street Fighter resta il precursore di TUTTI i picchiaduro moderni, il prototipo del videogioco a combattimento, il seme di una evoluzione che ci ha portati a titoli quali SoulCalibur e Marvel vs Capcom 2. Non sappiamo fino a che punto Street Fighter sia definibile videogioco di culto, ma si è abbastanza sicuri che il prestigio della Capcom attuale è riconducibile ai fatti del 1987.








 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Street Fighter - ストリートファイター -
  Versione World
  Anno immissione 1987
  N. Giocatori 1/2
  Produttore Capcom
  Sviluppatore Capcom
  Designers Takashi Nishiyama, Hiroshi Matsumoto
  Compositore Yoshihiro Sakaguchi
  Sito Web www.capcom.co.jp  
  Sist. di controllo Digitale- Joystick
  Numero tasti 6
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Laterale
  Risoluzione 384 x 224
  Formato PCB - Capcom 68000 Based
  Emulazione Completa [testato su MAME]
  Genere Beat ’em up
  Rarità
  Quotazione 100 - 150 €
  OST Sì [Street Fighter 25th Anniversary Sound Box, 2013, Suleputer]

 

Un secondo cabinet montante due tasti grandi per joystick con sensore di pressione venne rilasciato anche in Europa, benché in distribuzione limitata. Nell’88 il port PC Engine CD (Fighting Street, sviluppato da Hudson) è clamoroso. Il videogioco viene introdotto nella sua interezza estetica e si concede il rifacimento della colonna sonora, che vige su traccia, nonché un comparto di effetti-campione di realismo. Mancante la vastità del colore dell’arcade, ma il resto c’è. Qui da noi fu Tiertex a occuparsi delle conversioni per gli home computer, e fu un male. Il titolo risulta in ugual modo lentissimo su Amiga e Atari ST. Le animazioni subiscono tagli rilevanti; ancorché il design degli sprite sia sui 16 bit preservato, il gameplay risulta assente. Su Amstrad CPC, Spectrum e Commodore 64 il titolo si equivale per mancanza di programmazione. Nondimeno, una parallela versione statunitense del videogioco prende forma sul Commodore 64 direttamente da Capcom USA per conseguire decoro. Il port PC MS-Dos sarebbe stato scritto sul codice di quest’ultima edizione. Nel 2006 Street Fighter esce in arcade perfect su PlayStation 2 e XBOX all’interno della Capcom Classics Collection Vol. 2.