RAGE OF THE DRAGONS di @Luca
Abiusi
In prima analisi era sembrato che il nuovo pestatore
della Noise Factory non avesse i numeri per elevarsi dalla media. Il sistema di
controllo appariva alquanto ostile e la performazione delle mosse invero
problematica. Si era in errore. Di fatto i programmatori opzionano la via
dell’approdo graduale, insistendo su di una tecnica di combattimento inedita per
discreta parte. Il tag battle si
gestisce attraverso un costante interscabio di ruoli e il timore per un potenziale
rifacimento della struttura dei King Of Fighters svanisce sulla drammaticità
insita del due contro due. Vi è ancora la necessità di creare il background che
definisca i personaggi, la trama che gli artefici del mercato NEO GEO vogliono per forza
dare in pasto al cultore. Essia. Ma il punto è che malgrado il suo riferirsi al beat
’em
up a incontri post-Capcom Rage of the Dragons riesce a catturare il
livello di concretezza. È possibile si realizzi l’effettiva somiglianza con
Kizuna
Encounter: Super Tag Battle, e tuttavia si è convinti che se tutti i pestaduro ne
traessero ispirazione si vivrebbe in paradiso.
La disposizione della pulsanteria prevede due tasti per i
pugni e due per i calci, con le sequenze incrociate del caso. Si noterà da subito una
barra supplementare disposta immediatamente sotto quella energetica a regolazione della
frequenza di interscabio del secondo lottatore: la scritta Change Ok darà il via
al cambio di testimone. Allora lo scambio conquista lo stato di spettacolarità delle Duplex
Combo, tecnica a mezzo cui, attraverso una combinazione di tasti, cominciare una counter
con il primo personaggio per poi finirla, e in modo pirotecnico, con il supporto.
Ogni coppia otterrà naturalmente una sua peculiare coreografia per quanto, nel caso di
selezione casuale dei due protagonisti, la stessa proporrà una visualizzazione grafica
sempre uguale. È quindi consigliabile, in beneficio di tutte le caratteristiche del
gioco, selezionare le squadre standard così da non stravolgerne gli equilibri in fase di
combattimento. È un fatto che i due lottatori finiscano per completarsi di mutuo accordo
al fine di realizzare la "simbiosi marziale", che è poi lo strumento chiave di
questo gameplay che viene evidentemente modificato dalle dinamiche di giunzione,
dall’incastro di sequenze di scontro votate alla strategia. Tutt’altro che banale, la
opera Evoga reclama dignità sul pezzo della evoluzione del contatto marziale.
Eppure Rage of the Dragons denuncia limiti sul fronte dello
spessore, della quantità. L’interesse al gioco è strettamente avvinto al meccanismo del
sovrapporre, e venuto a diminuire l’impulso dell’innovazione vien fuori che il roster non
è così assortito e che il frazionamento delle forze in campo avrebbe reclamato ulteriore
impiego. Lo si avverte in misura concreta nel momento in cui si affronti un lottatore in
carne per disfida, lì dove l’incidenza percentile tra le coppie selezionate cade
pressoché sempre sul personaggio di forza trainante. Nulla di veramente grave, sia noto,
ma è proprio questo il fattore che impedisce al picchiaduro di conquistarsi lo status di
capolavoro assoluto del genere pur con tutte le grafiche di prestigio e dettaglio, anche se
un paio di quadri sembrano sancire la decurtazione degli elevati standard dettati dai
grafici. Ma generalmente si fa uso di spazi bidimensionali di ottimo stile, di virtuoso
utilizzo del colore NEO GEO superante i mille, di prestigiosi disegni in prospettiva a
rendere la percezione della profondità una questione urgente, da definire come artwork
preliminare in carta e matita, come si faceva una volta. Poi vi è questo character
design di sinuosità manga e anime, personalità virtuale che deve per
forza esaltare il Giappone e le sue anatomie suburbane, l’eccentrico
vestiario di kimoni, uniformi scolastiche trendy, divise da gang di strada
che giocano a basket. E la Evoga neppure è giapponese, risiedendo in
Messico, ma decide che deve essere giapponese e allora vai a esaltare i
contorni e a fare la plasticità fisica e le animazioni che neppure la SNK
dei tempi d’oro mi intercalava dentro a un’unica schermata. Le musiche di
per loro vanno anche al di là delle aspettative tra brani cantati
assolutamente validi e ritmiche trascinanti che ti metti a ballare,
scherzare. Campionamenti ed effetti di un certo effetto dotano di un livello
di pulizia acustica che è anche troppo per un NEO GEO cui si è divelto anche
l’ultimo megabit. Risulta chiaro quanto lo scrivente sia portato a lustrare
codesto picchiaduro di Noise Factory, e come questi ne sia rimasto affascinato per stili di lotta
approntati, per l’originalità del concept e, ancora, per la rimarchevole
silhouette di Cassandra.
|
|