THE KING OF FIGHTERS ’94 di @Luca
Abiusi
Nel
1994 si consuma la transizione verso il futuro, ché in arcade erano già usciti
questi hardware potentissimi capaci di muovere cose come Virtua Fighter e Ridge
Racer e stavamo iniziando a prepararci all’avvento delle superconsole da
collegare al televisore, già che Saturn e PlayStation erano date in uscita entro
natale e le voci su di una console Nintendo col motore V8 a 64 bit si facevano
sempre più insistenti. Ma con tutto
ciò, SNK e Capcom proseguivano imperterrite nella loro
diatriba per il dominio del mercato dei picchiaduro in 2D. Si accostò The King
of
Fighters ’94 in una di quelle giornate estive tipo 40 gradi
all’ombra in cui se resti a casa muori, e
alla fine ti ritrovi in una sala giochi alla ricerca di un qualche videogioco che valga la
tua attenzione. Si venne attratti da questo picchiaduro un po’ anomalo, che vedeva
squadre di tre lottatori ciascuna affrontarsi a oltranza a colpi di mosse stilose
alquanto, abbigliamento kitsch e evidenti rimandi al Giappone delle idol e degli otaku. La grafica
ci parve spettacolare e il sistema di gioco alquanto distante da
Super Street Fighter II,
ma anche dai rimanenti titoli di genere griffati SNK, da cui la stessa attinge per
estrarvi discreta parte del roster. Tenevamo il dovere morale di
approfondire.
Oltre che teorica, la mutazione messa in atto dai
programmatori di Shin Nihon Kikaku è strettamente empirica. La struttura delle mazzate a
incontri singoli abdica in favore di una linea di combattimento che sia protesa verso lo
spettacolo, la esagerazione delle super mosse, la visione esteticocentrica, la
staticità, la frammentaria contrapposizione fra yin e yang, fra materia ed energia. Alla
base dello schermo staziona una barra energetica che è il termometro di quel che accade
sul teatro dello scontro, lì dove, quando si subisce un attacco, questa si colmerà
contestualmente. A riempimento avvenuto si è allora in grado di performare la Desperation
Move, l’estrema risorsa difensiva capace di svuotare il misuratore
dell’opponente. Ma eseguirla richiede tecnica. Quindi si dovrà performare in precisione il movimento elaborato di
joystick e tasti, benché alla fine il risultato ripaghi l’impegno; sarà comunque
possibile caricare la barra manualmente a seguito della pressione simultanea dei tasti A,
B e C. L’operazione richiede a ogni modo alcuni secondi, attimi entro cui il nostro
lottatore sarà indifeso e possibilmente alla mercé dell’avversario, sicché è opportuno
non abusarne, o quantomeno è buona regola farne uso allorché l’avversario
si trovi in una fase di
stordimento, inerme. E questo è quanto. SNK mette le basi per ciò che sarebbe diventata
una “saga istituzione” nel campo dei picchiaduro, pur mostrando il fianco ad
alcune rilevanti imperfezioni di impostazione e bilanciamento delle forze in campo.
The King of Fighters ’94 estirpa i suoi
lottatori principali da Fatal Fury e
Art of Fighting,
ma ne inserisce di nuovi al fine di creare una narrativa portante che
giustificasse il torneo tra queste otto formazioni provenienti da ogni parte del globo,
le quali, nell’intento dei progettisti, vengono messe insieme in modo che le
personalità dominanti si ritrovassero nel team con il potenziale più basso. E in effetti per quasi
tutte le squadre opzionabili detta condizione viene implementata in modo
funzionale, ma però poi accade che il team messicano sia palesemente più forte di quello cinese, che a
sua volta soverchia per abilità quello inglese formato dal trio femminile
capitanato da Mai
Shiranui. Del resto si tratta di considerazioni strettamente soggettive, che potrebbero
non trovare perfetto riscontro tra gli appassionati della saga. Ergo ci si limiterà a
dire che, quantunque la ultimazione del gioco in fase di scontro con la cpu sia più
fattibile a mezzo determinati team, qualora manovrato in due The King of Fighters
’94 offre
una qualità della sfida evidentemente più alta, che aumenta ancora in
proporzione alle capacità dei
contendenti umani. Sulla grafica non vi è molto di che eccepire. SNK realizza
caratterizzazioni assolutamente eleganti, ricche di carisma, fascinazione, ragguardevoli
anatomie. La fluidità delle animazioni supera gli standard bidimensionali
del periodo, mentre il disegno degli sfondi si accosta a cromatismi accesi e
virtuosi movimenti di background.
Meno incisive le musiche, ma in fin dei conti gradevoli per larga parte,
ancorché irreprensibile sovvenga la
intera controparte delle sintesi vocali. E così, dovendo concludere, si può dire che il primo
volume dei King of Fighters meriti ancora adesso larga considerazione in virtù della
manifesta solidità del suo team battle, questa variazione di
gameplay che avrebbe negli anni generato
imitazioni, nonché ispirate le dinamiche del picchiaduro moderno.
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