FATAL FURY: King Of Fighters
di @Gianluca Sighinolfi
La svolta: SNK, piccola e
promettente casa produttrice giapponese di coin-op realizza Fatal Fury. Era l’anno in cui
al bar spopolava il videogame che ha cambiato la storia dei picchiaduro –
ovvero Street Fighter II – e proprio in quel momento,
sull’onda di quel successo, la SNK ha avuto la geniale idea di usare il
beat ’em up a incontri come base di lancio della sua storia futura. Fatal Fury, anche
conosciuto come Garou Densetsu, in Giappone diventava il clone del
picchiaduro di casa Capcom, apparentemente anche abbastanza scarsino tranne che
a livello grafico. Eppure, per chi come me visse in quegli anni,
Fatal Fury è fenomeno di culto già a guardare l’introduzione essenziale,
assolutamente più stilosa di quella di Street Fighter II, dove si intravede la
pesantezza di quei pixel, la ricerca dell’epico in un taglio di inquadratura
che mette enfasi verso l’imminente torneo di arti marziali, chiamato guardacaso King of Fighters.
È
l’inizio di tutto. Si inserisce la moneta e si viene chiamati a scegliere
tra soli tre
personaggi, a differenza degli 8 selezionabili in Street Fighter II, eppure
il carisma di quegli attori cancellò ogni dubbio; si trattava di Terry Bogard, di suo
fratello Andy e l’amico Joe Higashi. Gli
sgherri, il restante marasma, non era selezionabile. Ma se vogliamo questo
fattore li rendeva ancora più affascinanti.
Capcom sarà stata grande, ma la SNK con Fatal Fury ha creato dei
personaggi inimitabili. Voglio dire: Terry Bogard con quella sua giacchetta rossa con la
stella bianca, i capelli lunghi biondi raccolti sotto il berretto inseparabile se non in
caso di perdita fece tendenza. E così anche Andy e Joe. Come scordarsi delle
sbruffonate di Joe, delle movenze felpate di Andy. Nulla è lasciato al caso,
come la voce che annuncia i nomi dei combattenti prima di ogni round, il
notevolissimo parlato digitale a
ogni mossa, la grandissima grafica con sprite più grandi di qualsiasi altro gioco
dell’epoca. E tante altre novità come gli sfondi che cambiano di colore dal giorno alla
notte, oppure da sereno a ventoso e piovoso. La sensazione del tempo che scorre
è resa al meglio. Ma la vera innovazione rispetto alla concorrenza era la presenza di un secondo livello di profondità
che, di fatto, rivoltava il gameplay. Si pensi a cosa può voler dire schivare una fireball
semplicemente spostandosi su un’altro piano per poi ritornare e sferrare un bel calcione,
o uscire da un angolo scivolando sull’altro piano prospettico per poi tirare uno
sgambetto. Vi è altro ancora. E difatti è possibile giocare in
due in simultaneo con due personaggi "umani" contro la cpu, un
sistema che non verrà più ripreso nemmeno negli ultimi e più
blasonati picchiaduro in 3D. Certo si potrà farlo solo per un round, visto
che poi si tornerà al classico
scontro opposti a chi ha inserito la moneta, per determinare chi andrà avanti.
Ma era un’idea che funzionava. Un’altra cosa importante per il singolo è che si
può scegliere l’avversario contro cui combattere sin dall’inizio; un difetto oggettivo, per quanto da alcuni
considerato pregio, è che quasi tutti gli avversari computerizzati si possono battere con
trucchi o particolari strategie. Si può portare l’esempio più eclatante:
Billy Kane, uno degli ultimi opponenti, ha un bastone che usa con
destrezza, eppure è sufficiente attendere qualche mossa per vedere lui che lo
lancia e che si lascia prendere in modo banale un momento prima che dal pubblico
gli arrivi un altro arnese. Fa lo stesso anche il vecchio Tung Fu Rue, che nel trasformarsi
in stile Muten di Dragonball in palestrato gigante si lascia fare di tutto.
Vi è un trucco per ogni personaggio. Se dai
più la A.I. è considerata un baco, chi scrive ritiene che questa sia
conseguenza di una scelta di SNK cha ha il fine di caratterizzare i
personaggi, nonché dare al gioco un’impronta diversa. Vanno menzionate le cut-scenes che spiegano l’evolversi della
storia e motivano il cammino degli eroi fino all’epilogo col mitico boss finale Geese Howard.
Si avvistano inoltre certi livelli bonus che se sfruttati a dovere
possono valere da soli il gettone: un braccio di ferro virtuale contro il ceffo
controllato dal computer grande quanto l’intero schermo, che si dovrà
battere schiacciando i tasti come in Track & Field. Sul comparto sonoro niente
di che lamentarsi grazie al già menzionato suono digitale e alle musiche
interessanti (quella
del boss finale è ormai nella storia), ai realistici fischi della folla a fine round (altra
novità rispetto a Street Fighter II). È naturalmente assente il
bilanciamento tecnico di Street Fighter II; alcuni avversari sono veramente
troppo stupidi e useranno spesso e volentieri sempre la stessa tecnica, e il
secondo livello di profondità verrà in realtà sviluppato a dovere solo nel
secondo episodio, dimostrandosi comunque un buon inizio. Le mosse speciali
dei nostri eroi sono assai spesso sbilanciate, come ad esempio l’elbow dash di
Andy Bogard, che se usato a oltranza consente di finire il gioco in quindici
minuti.
Alcuni avversari non parano quasi niente in modalità "normale", ovvero prima
di trasformarsi in giganti; ciò nonostante, malgrado una serie di difetti
grossomodo colossali, rispetto a Fatal Fury non esiste persona che non abbia provato
la
sensazione di essere al cospetto di un monumento. Fatal Fury va giudicato
col cuore. Affatto emulo di un altro gioco, ma piuttosto gioco che sarebbe
stato emulato nel suo stile, il titolo SNK reclama la sfida, vuole che si
tiri fuori i denti del lupo e che si entri in sintonia con la propria anima sotto
la battente pioggia o in una spiaggia, belli e maledetti
a compiere il nostro destino, pur vincendo contro ogni logica, e usando ogni mezzo. Siete voi, se giudicate col cuore, la
destinazione di questo capolavoro.
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