STRIDER HIRYU di @Luca
Abiusi
Devi
percepire la grandezza quando vige allo stadio embrionale, che lo sapevi che Strider sarebbe diventato letteratura
nei territori della elettronica e della fantascienza, poiché non era Strider il solo risultante delle
nuove tecniche di programmazione dei versanti giapponesi
ma era al più l’idea del videogioco moderno che metteva radici nel presente.
Lasciateci raccontarvi di un eroe capace di traversare le asperità del tempo,
e di rimanere al tempo indenne fino all’attuale generazione di non-videogiochi,
di prodotti di stretto consumo e consumismo, di assenza di idee e carenza di
invenzione. Strider inventa. Ancora adesso. Lui,
platformista d’impatto
visuale
e caratterizzazioni eccessive potrebbe essere scrittura del prossimo film di Michael Bay,
col suo fronte visionario e quest’azione continuante, di progressione serrata e
serrati tempi di risposta alla guerra, che in Strider è una cosa di stile, per
il suo infiltrare questa geografia fantapolitica che rende inoltre
interessante lo scalo tra l’atto dell’uccisione e lo svolgersi di un
futuro anticomunista meccanizzato.
Il salto in acrobazia mette in
opera lo spettacolo delle movimentazioni a scivolare, dell’inerpicarsi su pareti ripidissime
a colpi di scimitarra al plasma, per insegnare
di fantacose inedite ancora e si osa. Il racconto si fa criptico e per certi versi
inquieto
per atmosfere post-belliche, le visioni caustiche dell’insieme antologico,
come la città di Mosca sottomessa al regime dittatoriale
stalinista-surrealista e così lo Strider è mistura di scenografie che
s’immergono in un contesto elettronico tecnicamente avanzatissimo: il disegno reso
alla
costruzione dei fondali consegue l’ispirazione più e più volte, e come accaduto per
Ghouls’n
Ghosts la parete del parallasse espande la percezione di profondità dimensionale
sino a reinventare il genere del platfom sotto un possente dinamismo atletico; Capcom
è brava a
manipolare l’immaginazione di chi manovra offrendogli ciò che nessuno era stato in grado
d’istruire in arcade intorno all’accademia del jump’n run e
del riverbero
dell’ostilità ascendente, che dal terzo livello in poi bisognerà restare a galla, e
pure
insiste riguardo la questione della ripetizione assillante degli schermi, a determinare
la memorizzazione del pattern, ché di fatto si
ripiega nella scienza dell’apprendimento per così marcare il territorio della
dipendenza, lì quando la resistenza del nemico si risolve
nel gesto della memoria eidetica, del quadro che hai imparato a
presentire.
Più che attingere ai suoi precedenti
musicali, l’attrezzo
Strider mira a introdurre una libreria di suoni onirici e acidi, e di
classico sintetizzatore Yamaha. La profondità delle basi strumentali è avvertibile in corso d’opera e
si impone come accademia del sound Capcom nelle fasi di amplesso preliminare,
quando si atterra con l’aliante e poi durante il tribale del quarto livello. Strider
è un accostarsi di sequenze multisensoriali di grande sfarzo, di gran leggenda:
riproposto su PlayStation nella collection Strider 1&2 e
su PlayStation 2 all’interno della Capcom
Classics Vol. 2, codesto istrione dal costume viola sembra voler sopravvivere al
contemporaneo a figurazione del mito, comeché a legittimare la sua immortalità
in forma di revival nelle saghe a combattimento, in
Marvel vs. Capcom, ed è probabile che in
futuro vi sarà ancora spazio per quest’eroe distruttore di regimi. Il fattore gameplay passa allora
in secondo piano al cospetto di una parabola elettronica in grado di rispecchiare la epoca
“alta” dell’intrattenimento da sala giochi, che l’idea nichilista e oltremodo
occidentalista che lo Strider tuttora incarna volge alla definizione di
certi significati bidimensionali irremovibili. Quindi il plusvalore del
coefficiente di difficoltà si realizza assumibile di intenzioni che
precedano il
giocatore-utente, che minimizzino l’interazione e rendano a noi esseri mortali l’esperienza cognitiva
terra terra, rudimentale, arcadista. Come a voler dire che oltre l’oggetto
della sfida, oltre il punteggio, oltre lo spettro del game over vi sono le immagini.
E queste descrivono la storia.
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