La
cosa di fare del cazzo di ferro il vessillifero di una falange di persone
giapponesi praticanti antisemitismo e megalomania non è che è venuta fuori nel
2006 col team Gris2. Esisteva già da diverso tempo. Qualche d’uno si ricorderà
sicuramente dell’eccellentissimo Aquales, una cosa di ferro pesante per l’X68000
che asseriva che i robot (i giapponesi) erano una razza di eletti con le
protuberanze di ferro alla Tsukamoto, ed era anche difficile dare loro addosso
da quando codesto popolo di razza Yamato (大和民族) aveva deciso di realizzare una
cosa rispondente al nome di Strider Hiryu, sicché tutti avremmo desiderato di
essere giapponesi, o quantomeno di possedere una cosa che potesse far girare lo
Strider senza dover ricorrere a un trapianto di cazzo di ferro, come facemmo Noi
al tempo con una certa leggerezza, vistoché non avevamo considerato la variabile
dell’infezione da rigetto, e fu tuttavia esaltante andarsene in giro col cazzo
di ferro a penetrare tutti i buchi di natura organica, animali da salotto per
dentro, anzi quelli erano i migliori, ma poi il cazzo si staccò andandosene in
giro per cazzi suoi, senza una meta, senza un domani.
DreadLock incomincia con un deposito
sotterraneo che si estende in altezza, cinquecento e rotti metri di
proiettili al laser e container stracolmi di cose di ferro e tutto viene
dissipato nel futuro, laminato da materiali in super-lega di superferro per
fare apparire le grafiche come quelle che si guardavano negli anime dei
robot non trasformabili del 1986, solo che ancora non abbiamo visto le
ragazze giapponesi, dove sono le ragazze giapponesi, tutte le cose dei robot
devono possedere una componente vaginale da introdurre nel cazzo di ferro ma
si vedrà di sopravvivere alla cosa perché il mech è una cosa che cattura
senza possibilità di dubbio, fa tzzz tzzz
(TM),
vedi che realizza una propulsione verticale da consumarsi a seguito di uno
slide laterale di accelerazione che inoltre arrivi a funzione di mossa
evasiva in caso arrivassi tu, robot, a contrare i robot-mostri che sparano i
missili di categoria coin-op, quelli che usano colpire con un margine di
errore inferiore allo zero punto zero un per cento sulla falcata classica
possente, ma lenta. Il sistema di armamento diffonde pezzi ovunque. È bella codesta
cosa dell’interscambio tripolare a più livelli. Le armi, cattivissime, fanno
strage di cose. Per dunque, il vulcan arriva col suo ultimo stadio di
upgrade a infliggere un dolore multidirezionale di contingenza trenziana,
dacché il DreadLock sa rendere menzione del Turrican su qualche oggetto
decorativo appartenuto ai suoi universi, le piattaforme una sopra l’altra,
il design proteso in altezza di alcuni agglomerati di ferro senziente, i ponteggi di lamiere che si
incrociano e le impalcature delle metropoli elettriche.
Regola numero uno dell’apprendista game designer:
le grafiche perimetrali dopo. La primissima cosa è l’avatar. Precostituire che si
trasformi in una macchina da guerra credibile. Che è la regola numero due. Tre e
quattro «vediamo se possiamo inventarcele più tardi, ma per intanto abbiamo il
dovere di vedere se è il caso di rendere il macchinario in full frame,
fargli determinare le azioni dei robot corazzati giapponesi pesantissimi che si
muovono con quest’aura d’invincibilità metallara manco se il cazzo di ferro a
sessanta fotogrammi al secondo ce lo dovessero avere soltanto loro»; e difatti,
il DreadLock si sposta pachidermico – il filmato che segue, per questioni
tecniche catturato a 30 fps, non gli renderà completa giustizia – al centro di
un complesso di strutture disumanizzate, di ragni artificiali che si agganciano
alle pareti e sparano, di gigantesche navi da ricognizione, autobot-prototipo
coi mitragliatori frontali che fanno malissimo e non è che si assuma così
obbligatoria
l’occasionale mancanza poligonale dello sfondo, impegnati al massacro, poiché vi
è lantente sempre la cosa della regola numero uno di cui sopra, che Gris2 sembra
recepire alla perfezione, e per cui non si potrà distogliere lo sguardo dalla
deambulazione potente del robot DreadLock neppure per un secondo da che tanto il
resto è soltanto rumore, oggetti di background che in ogni modo ambiscono a
diventare improvvisamente immanenti, ché si deve anche marcare la presenza di
situazioni epiche intorno ai livelli quattro e cinque, dopo il quadro shoot
’em up, allorché si potrebbe riscuotere visioni di esoscheletri-dinosauro
che buttano il fuoco e di blasfemi Gesù Cristo meccanici con la croce. Che non
vedono l’ora di morire per Noi.