Nel
1999 Nintendo tentò il raddoppio, letteralmente: l’Expansion Pak, che portava da
4 a 8 i megabytes di RAM del Nintendo 64, fu lanciato dalla casa di Kyoto nel
tentativo di migliorare le vendite della sua semi-fallimentare console a
cartucce, dopo i successi di Ocarina of Time e
dei Pokèmon. Ora, nel mercato delle console, l’upgrade non ha mai funzionato
veramente: pertanto, c’era bisogno di un titolo di lancio, che potesse giustificare da
solo l’esistenza stessa dell’espansione, che la sfruttasse come Zeus comanda, che si
imponesse su tutto e tutti con forza bruta, qualcosa che facesse paura. Insomma, c’era
bisogno di un titolo Rare. E Donkey Kong 64 fu. Come al solito, avvenne
strage di mandibole. Neanche oggi, in pieno 2005, riusciamo a trovare parole per
descrivere l’impatto iniziale di fronte a questo gioco. Ce le tolse tutte l’introduzione
cantata in stile hip-hop, inserita quasi a sfregio di chi si lamentava dei limiti di
capienza delle cartucce.
Peccato, perché avremmo voluto magnificarvi le capacità
degli sviluppatori di Goldeneye nel creare un’estetica magniloquente e lussuriosa
come non mai. Scenari vasti fino a perdita d’occhio, superfici splendidamente modellate,
personaggi dotati di animazioni che rasentano il commovente per quanto sono espressive e
ben realizzate, light sourcing ed effetti speciali a profusione, e poi le
tessiture, ancora attuali, tale è la loro definizione. Il motore poligonale di Donkey
Kong 64 è così possente...che neanche la console riesce a farlo girare come si deve. La
sensazione di trovarsi di fronte ad un mondo vivo, pulsante, e colorato oltremisura viene
picconata impietosamente da problemi come l’orribile pop-up degli oggetti su schermo, gli
sporadici episodi di bad clipping, l’assenza di vita nei (pochi) nemici
quando sono lontani dal personaggio, e soprattutto il bassissimo frame rate, che spesso e
volentieri sfocia nello scatto e nel rallentamento, e non inficia più di tanto la
giocabilità solo a causa della tutt’altro che sostenuta velocità di gioco. Problemi
piccoli, certo; ma a maggior ragione la loro facile risolvibilità crea disappunto, e fa
pensare a una conclusione prematura della fase di sviluppo: ipotesi avvalorata dagli
svariati bug disseminati per tutta l’avventura.
La carne al fuoco è tantissima anche a livello
strutturale. Gli sviluppatori hanno optato per un approccio corale, in cui dovremo usare
sistematicamente tutti i membri della famiglia Kong, ognuno, come da copione, con
peculiarità e obiettivi particolari. È appunto l’abbondanza di questi ultimi a stupire
maggiormente: banane, medaglie, monete, progetti, gemme, granate, proiettili, rullini,
corone e fate di ogni foggia e colore attendono di essere carpiti dalle nostre manine
pelose tramite risorse, tutte comodamente sbloccabili, che vanno dagli strumenti musicali
alle macchine fotografiche, passando per armi da fuoco, mosse speciali, barili e pulsanti.
Secondo i nostri calcoli, gli oggetti necessari per finire il tutto al 100% sono più di
5000. Buona fortuna. Ma anche qui Rare, forse a causa della fretta nel rilasciare il
titolo, ha tentato il passo più lungo della gamba. Donkey Kong 64 implode per
tradizionalismo eccessivo: il deja vu è costante, le soluzioni di level
design sono tanto abusate da risultare a volte frustranti, e la vastità del
gameplay non fa che risaltare la mancanza di originalità. La varietà della progressione
è seriamente pregiudicata, rendendo di fatto impossibile un’esperienza di gioco
continuata, la quale si riduce abbastanza presto ad un’esplorazione a tappeto degli enormi
livelli con tutti e cinque i protagonisti, alla ricerca di chissà quale oggettino,
necessario per poter passare oltre con il cuore in pace, intervallata dalla occasionale e
ripetitiva eliminazione dei nemici, soggetti a rigenerazione continua. È facile che prima
o poi subentri la noia, nonostante l’assenza di pecche ben definite e il gran numero di
tocchi di classe presenti, tra i quali la presenza del
Donkey Kong
originale. Ci dispiace veramente dirlo, ma per quanto apprezziamo gli sforzi di Rare nel
portare avanti un progetto così ambizioso, Donkey Kong 64 non rende giustizia alla
leggenda dei Donkey Kong Country. Le musiche, per quanto ben curate, non reggono
minimamente il confronto con le splendide melodie che Robin Beanland compose per gli
episodi a 16-bit. Persino le caratterizzazioni dei personaggi secondari fanno rimpiangere
i bei tempi andati: vedere Funky Kong vestito da
militare, o il vecchio Cranky nei panni dello scienziato pazzo, è uno
schianto al cuore.
Evidentemente, nei tre anni che hanno separato quest’ultimo titolo dal precedente nella
saga, i ritmi produttivi si sono fatti troppo pressanti per poter coniugare facilmente
celerità e qualità... Nessuno sta negando che Donkey Kong 64 sia comunque un prodotto
godibile, da cui più di un giocatore saprà trarre molte ore di divertimento; ma il
nitore, l’ironia, la leggiadra spensieratezza, tutto ciò che contraddistingueva la serie
che da sola allungò il ciclo vitale del vetusto Super Nintendo, sono ormai lontani, come
la luce del sole nell’ultimo sguardo di un moribondo.