L’universo era
rimasto al verticalismo perimetrale della Capcom e nessuno che gli diceva niente sulle
mega innovazioni che stavano arrivando a istanza di
effrazione dell’armamento spazialissimo, che prima poteva anche rimanere fisso. Prima
di Gunhed. Che mega sparatoria, Gunhed, che tempra quando abbatte il muro di
confine col quale si marginava lo sparamento degli arcade e delle produzioni
laterali per console, poiché ancora non si stava sull’estremizzazione della questione
dell’evoluzione delle armi ed è indistruttibile, il Gunhed, quando si elegge a declamatore di un poema di missili pentacolari e
di strie e di fasci multivitaminici strapotenziati con la pillola fucsia, che fluttua
nello spazio siderale, come fluttuano sti numeri romani che all’inizio non si
sapeva a cosa potessero essere utili, dal momento che nessuno ancora realizzava
che si potesse indulgere in tentazione e liberarsi del fardello linearizzante
del coin-op come modello di partenza le armi. Moltitudini di armi.
Gunhed è la reimmissione dello sparatore a scorrimento.
Naturalmente sì, la rivoluzione è altra cosa, ma è comunque grazie a questo
rinnovamento del sistema d’aggancio di nuovi mirabolanti giocattoli che si ha, ancora prima
del Novanta, ancora prima di Raiden, e ancora prima che Technosoft si mettesse a
fare la storia del distruggimento orizzontale un genere di titolo di genere che ottiene
il gameplay monumentale della zona decisionale, in accordo al fatto che se si decide per
il fascio frontale è bene persistere e potenziare quello. Almeno finché non siano le
condizioni di sparo a forzare il cambiamento di strategia, un mutamento di sparamento,
ché può essere che all’improvviso lo schema bellico del mid-boss del quarto stage
richieda il raggio elettrificato piuttosto che il raggio fotonico, ma la realtà dei fatti
è che Gunhed può essere battuto pure attingendo a un unico blocco di arsenali. Sebbene
così Gunhed sia meno Gunhed e più Gunlock, che non sarebbe uscito prima del
Novantatré e che nulla condivide col titolo Compile, se non l’orientamento verticalista.
Facciamo così: il level deisgner scrive per ogni determinato quadro
una confezione da combattimento personalizzata che fa volare formazioni d’attacco a multipod
per il consumo scorrevole, ma delega al manovrante l’opportunità di intuire quale metodo di offesa vi si
incastri meglio in funzione di un reale aggiramento del pattern. Una cosa
per virtuosi.
Il genocidio funziona. O ancora, a funzionare
è il resoconto del perimetro spaziale e dello storno degli Stormi delle
Navi, di proiettili che vengono a perpetua collisione col mezzo volante e si sdoppiano, vanno a zigzag producono fuochi, sganciano
upgrade, continuamente modificano le dinamiche della
distruzione classe ’Konami, anche se la opera Compile – quelli di Aleste,
esatto – è diversa. Il tipo di genocidio è arcade, ma non nella accezione più tecnica in quanto vi è molto più ferro al fuoco di quanto un normale
arnese a gettoni poteva in quel momento proferire alle masse reclamanti masse di oggetti
volanti per quadro e per quadri rigorosamente raster, sebbene s’ignorava cosa
potesse significare la
grafica raster, nel periodo della grafica raster. Un grande shooter alternativo
– che
alternativo non sarebbe più stato, da lì in poi – per questa console a otto o
anche sedici bit che si affacciava prepotente sul mercato dei videogiochi giapponesi, un titolo
che qui da noi si poteva appena ammirare in fotografia ma che era il punto d’inizio dello
spara e fuggi studiato per l’intrattenimento fai da te. Le grafiche a blocchi di pixel
assai colorati assumono quartiere nell’avanzare dei quadri, durante la decimazione di
questi innumerati meccanismi giganti che corrispondono molto a un anime nonostante
l’assenza di un character design di identificazione, e pure in
mancanza di una qualche stringa di dialogo per una eventuale storia che,
diciamocelo, avremmo finito per ignorare. I suoni vanno dritti nella
direzione della distorsione e vedono fantascienze, vedono fantasie di mech e
campionamenti approssimativi, ma non era questo il punto. Era che bisognava
buttare le fucilate.