Quando
si è a ricerca del videogioco che sia capace di incidere il tragitto
esistenziale di una console e che esista per giunzione astrale, per il dovere di
essere il racconto da consegnare a lontane ascendenze, si deve allora riferire
di Ginga Fukei Densetsu Sapphire. Che è opera mediamente inavviciabile, visti i
danari che l’utente interessato a rispettive copie munite di spinecard è tenuto
a versare, e gli deve andar bene. Se va male, gli verrà rifilata una delle
innumerevoli repliche provenienti dal mercato di Hong Kong. Benché i costi
proibitivi siano dovuti a una intrinseca rarità, dal momento che Hudson decise
di limitare la tiratura di stampa a qualche migliaia di esemplari – si era a
metà anni Novanta, quindi nel periodo di Saturn e PlayStation – va registrato il
censurabile fenomeno dell’hype che monta il
passaparola e il luogo comune, e che vuole il titolo pressoché introvabile
quando a dire il vero si può rinvenirne unità ancora
invendute – e ancora sigillate – bivaccando per i quartieri di Super Potato.
Di là del nome, e per concessione di una
Hudson che aveva imparato a rendere a schermo le migliori funzioni di
interpolazione e calcolo tridimensionale della Arcade Card, Sapphire può
rientrare nella cerchia dei videogiochi tecnicamente più significativi degli
anni Novanta: volpi forza quattro. O qualcosa del genere. Fatto è che
sussistono quattro attraenti ragazze-pilota con altrettante navi dello
spazio che hanno urgente bisogno di andare alla guerra; le si dovrà
contentare operando iniziale selezione per una o due navi, briefing
di sette secondi al massimo e decollo. Gli zeppelin si avvicinano a effetto
scaling. Dal terrazzo di un grattacielo si proietta ologramma pubblicitario
in flat-shading di un qualche trascendentale super elettrodomestico del
futuro. È notte formato Tokyo 2092, ma le estetiche sono luminose sul
pre-rendering degli oggetti che vanno in morphing nel 1995, a
determinare il 3D in tempo reale di caccia stellari a rombo in piena
rotazione, poiché non si può esser da meno dei processori Risc a 32 bit
venduti con Ridge Racer a cinquantamila yen. Tu osservi Sapphire
muoversi e decidi che non è ancora tempo di PlayStation. Vuoi restare sul
DUO e attendere, vedere fino a che punto si è deciso di superare i limiti di
questa console data per conclusa già due anni prima, e che sembrava aver
profuso i suoi massimi di computazione nelle cut-scene di Strider
Arcade Card.
Ginga Fukei Densetsu Sapphire (Sapphire:
La Leggenda delle Poliziotte Galattiche) è la Hudson Soft che
non vuole differire dalle sue radici. E quindi come una fenice che risorge
dalle ceneri degli otto bit, nel nome di Super Star Soldier cede
visioni di gameplay a super power-up perché si spari figure di proiettili
d’origine satellitare in ogni direzione, per coprire lo spazio dello schermo
orizzontale sullo scrolling in verticale. Il colpo a caricamento avviene
senza dover premere: il jet carica da sé e scarica allo sfioramento.
Presente la smart bomb. Presenti strutture al laser di gran mobilità che se
è concesso conducono in avanti sul pattern a media memoria, ma bisogna
essere piloti, inoltrare quest’idea di incursione nucleare a tappeto
malgrado la presenza di tre continue che se non sai essere poliziotta dello
spazio consumi in un microsecondo. Sapphire è la magnificazione dello
sparatutto classico. Per questo è assai lontano dal rinnovarne le
meccaniche, e piuttosto decide di esaltarne gli stereotipi, di restituire al
Giappone dei leggendari Gradius e Terra Cresta un angolo di
visuale reminiscente e comunque virtuoso del genere cui si rimanda, e lo fa
tirando dritto verso la fantascienza degli anime, delle ragazze dalle folte
chiome blu e rosse. I suoni metallari del supporto CD si erano anch’essi già
uditi ai tempi d’oro della Red, in
Winds
of Thunder, eppure fanno il
casino e segnano il luogo musicale al momento della virata a scansamento lì
dove l’atto dell’abilità reclama il contributo delle chitarre elettriche che
distorcono, affinché il quadro sia completo, e dimodoché un giorno come oggi
venga scritto del videogioco che sconfisse il tempo.