Si
fa prima a
non considerare di immaginarsi una PlayStation senza Namco, ché fu Namco ad avviare la
console al successo, nei primi tempi di quando c’era anche il Saturn, col suo
Daytona USA. Privi di Ridge Racer non avremmo partecipato della
rivoluzione delle grafiche a derivazione coin-op, non completamente, e niente
Kutaragi master of puppets, master of the universe; Ridge
Racer era la risposta alla domanda di
3D perpetuo, di 3D a perdita d’orizzonte salvo dalle situazioni di pop-up e sgranatura
delle tessiture. Ridge Racer era il corsistico dei tunnel, dei grattacieli, degli
asfalti su cui slittare e zompare con le vetture giapponesi customizzate. Non definibili, le
emozioni vissute accostando il racing
della Namco per una prima corsa, nel periodo della trasmigrazione della bidimensione verso
le mappature poligonali complesse: si era giovani, si era potenti, il futuro era dietro
l’angolo e ogni cosa poteva accadere, con Namco, la nuova “grande N” del
divertimento domestico, colei che faceva avverare i sogni del videoutente formato CD.
Considerando l’anno di pubblicazione – Novantaquattro,
il Super Nes è ancora la console più venduta – l’adattamento
appare incredibile. Bassa risoluzione
e frame rate a parte il titolo risulta in tutto identico
a quel mostro di tecnologie tridimensionali Risc ammirato in sala giochi. In più Namco pensa bene di
introdurre una nuova inquadratura “esterna” per visualizzare la parte posteriore
della autovettura (alla OutRun per intenderci), creando possibilmente una
esperienza di guida ancora più arcade. Il dettaglio dei fondali, lo scrolling a 30 fotogrammi al
secondo costanti e la colorazione delle textures rivelano la supremazia tecnica di Ridge
Racer al cospetto di qualunque altro gioco di guida prodotto nel medesimo periodo.
L’evoluzione era percepibile. Il flat shading che aveva reso monolitici i poligoni
di Virtua Racing si tramuta adesso in pavimentazioni
fotorealistiche a blocchi di cemento e catrame. I palazzi hanno le vetrate.
Monumentale il taglio del cavalcavia, su cui si avvista un drappello di macchine che
sfrecciano in
real time, per creare la necessaria condizione di gara
automobilistica suburbana portante di stile e ragazze immagine che alla partenza fanno il tifo per
il pilota col migliore conto in banca. Ridge Racer significa eleganza. Le piste sono pensate come inglobazione dei
cliché associati al racing da sala giochi – palazzi, spiagge,
sottopassaggi, elicotteri – ma anche come esemplificazione della sofisticazione estetica
della nuova Namco dedita alle coupé autocelebrative, sulle targhe, nei nomi di classici
à la Bosconian, Galaga e Nebulas Ray. In Ridge Racer si respira l’aria
frizzante e un po’ leggera degli anni Novanta.
Il gameplay della sbandata controllata – un derapage
che sfida le leggi della fisica – si attesta su discreti livelli se si è propensi a
perfezionarne le tecniche. Ma è il senso della corsa in tutto divergente
dalle meccaniche di un simulatore a iniettare nelle utenze quella peculiare concezione
automobilistica giovanile che fu di Yu Suzuki, in tempi di risorgimento dei coin-op. E si
lasci pure decadere il limite della scarsezza dei tracciati percorribili
giacché quella unica pista a diramazioni era esattamente quanto ci si
auspicasse dopo aver speso una milionata
per una PlayStation fatta pervenire d’urgenza dal Giappone dal rivenditore
di materiale import, presso Ostia Lido. Al primo caricamento parte
Galaxian.
E lo si deve affrontare dal momento che centrando tutti i nemici a schermo si sbloccano
otto nuovi veicoli liberamente utilizzabili nelle gare ufficiali. Il time trial e
il time attack allungano moderatamente il chilometraggio, ma servono anche a
ottenere la fiammante “devil car”. Si apprezza il design dei tre
percorsi. Possono esser brevi o elaborati, e in ogni caso il fattore spettacolarità non
viene a mancare per la congenita stravaganza delle curve sui dossi, per i tunnel da
superare a razzo, per i sorpassi da eseguire virando all’esterno e annullando la forza
centrifuga. Viene a perdersi la plausibilità. Viene a realizzarsi la velocità. Ridge
Racer è come Ridge Racer, la traccia musicale che inizia con il basso slappato e
le pianole pop psicotiche da piano intertainment di mezza estate a base di
cocktail al pompelmo rosa; il vocalist del “wow, it’s a new record” dà la
carica, mette fuoco al motore e fa scattare l’ignoranza della corsa superficiale ma
autentica, dove per vincere bisogna attaccare il tempo e dare gas pure nei pertugi a
tripla curva, e fa nulla se quando se ne urtano i bordi la macchina si pianta.
Ridge Racer è come una bella donna che attraversa in bikini, lì sotto il sole o
nei tramonti di quando si è in licenza distanti dal mondo, prossimi al check point
dell’ultimo
giro.