Dice
che verso la seconda metà degli anni ’90 Rico Holmes si aggirava con il
metal detector
per i bassifondi della scena demo a captare cose videoludiche da potere poi
pubblicare con i denari che si era guadagnati con un videogioco che si chiamava
Worms; eppure il detective Holmes aveva fatto qualcosa di vagamente
identico anche durante l’esistenza del Commodore Amiga, massì, vi ricorderete
sicuramente di un videogioco mandolino che si chiamava
F17 Challenge: possedeva un design talmente buono – grande animazione
della macchina che parte in testacoda, dal posteriore si vedono le scintille
dovute alla frizione delle gomme sull’asfalto – che Holmes ci mise mezz’ora a
farlo diventare roba sua, e a pubblicarlo ovunque. Adesso nel 1996 c’era questo
World Rally Fever, corsistico in via di ultimazione presso una garage
software house non identificata di nome “Split”, che non poteva dunque
rimanere privo della distribuzione professionale del Team17, che avrebbe
provveduto a tutto, scatolame, promozione, e che ovviamente si sarebbe intascata
tutti i soldi. Il giuoco è bello. Molto Power Drift, con punte rimarchevoli di
Buggy Boy il racing era praticamente un coin-op studiato per girare sui PC
forniti di processore veloce.
È che codesto gran premio giovanile, per la di lui
potenziale diffusione, doveva teletrasportarsi un ventiquattro mesi prima. Prima
di PlayStation, che in Europa, nel ’96, esercitava il diritto del prendere a calci
i “computer da gioco” iniziando a gestire grafiche moderatamente più sofisticate
dell’ultimo Pentium, che non era proprio un computer da gioco, e in verità va
detto che non è detto che World Rally Fever avrebbe su PlayStation ottenuto
l’impatto visuale che si ricavò a partire dai 486 di fascia alta per
quest’importante presenza di Ram bidimensionale in completa rotazione e non
solo, preso atto che il corsismo della Split aggiorna decine e più elementi
tridimensionali con invidiabile flessibilità di calcolo di lontananza, con il
pop-up ridotto al minimo e un tessuto di tramezzo che conduce uniforme al colore
pieno degli elementi a sprite proliferanti, dove lo scaling liquido – è
praticamente il super scaler di OutRun – ingrandisce senza farsi
mancare un unico fotogramma intercalante, e vi è proprio latente quest’atmosfera
di fluidità dei cabinet con i manubri che giravano all’infinito che non sei
capace di spiegare completamente a meno che l’utente che hai difronte non abbia
anch’egli vissuto quegli anni di felicità cromatica di villeggiature
preadolescenziali, casa in affitto difronte al mare, giro di ricognizione in
bici con gli amici e poi tutti al bar con le palafitte a giocare al gioco delle
macchine che saltano. Comunque, un corsista del genere non è che è pensato solo
per gli esseri umani che se ne sono rimasti negli Ottanta, ennò: la sua
profondità sul lato della curva di apprendimento deve suffragare il mito
automobilistico itinerante. Altrimenti non vale.
Risulta che il campionato debba distinguersi per
una sua dimensione di classi depositarie di vastità, in camera, non come in sala,
tra le cui mura insanguinate non si poteva indulgere alla continuazione
dell’atto, vistoché le corse della Sega duravano sempre meno di quanto si
potesse auspicare. In World Rally Fever entra invece in vigore una quota di
macchinismo da espletare nel corso di una significativa quantità di ore di gioco
passionevoli, mica incasellate per un obbligo di ultimazione ma di contro
consumate per un impellente desiderio di stimolare il metodo di guida in
derapage digitale costante, detentore di precisione malgrado la carestia di
volanti in gomma nel quando il pad direzionale contende inerzia a ben più
facoltosi guidatori analogici in alta risoluzione, ed è anche il track design
avventuroso e anti lineare a conformare la creatività di queste persone munite
di talento, qualunque talento esso sia, capacità di aggiornare lo schermo a
sessanta, abilità nel fare ruotare tutto, estrosità nel determinare la mutazione
geografica delle mappe con l’innesto di accessori animati complementari – a
Tokyo i furgoni attraversano, in Francia devi balzare oltre i muri, a New York
ci sono strapiombi ovunque – che siano funzionali all’uso di queste abilità
speciali estemporanee da lanciare sui rivali che seguono o precedono la Nostra
dune buggy di “...altrimenti ci arrabbiamo”. Accade una suoneria d’intenzioni
discrete. Le musiche, incise a studio direttamente su traccia, possiedono una
loro ascoltabilità stereofonica, e ancorché non siano proprio come le sintesi di
Kawaguchi è avvertibile l’impegno che il musicista detto Nooon vi mette dentro,
catturando suoni ambientali e strumenti.