Piovvero
detriti intorno al cinquemila e seicento punto due sulla guerra tra corporazioni stellari
alla Battlestar Galactica, ci sono le costallazioni-stato in posizione di lancio, lancio io che
lanci tu, il ponte delle spie, situazioni di stallo del terzo tipo e all’improvviso,
atterra dal nulla colui che afferma d’essere niente meno che il pilota del
leggendario Cosmofighter R87 modificato: «mi si dia un aerografo tracciante
che mi disegni un satellite di generazione Gamma, quattro tubi col
potenziometro a fissione e vedrete come si torna a casa vittoriosi». Il
Consiglio era scettico. Voleva che l’essere umano venuto dal nulla riferisse
circa i suoi precedenti eroismi, ma essendo lui in realtà un semplice
collaudatore che due anni prima si era anche fatto sbattere in cella di
isolamento per atti di insubordinazione, di lì in avanti inventò: «spinsi io stesso il prototipo a velocità luce9
nell’ordine di una percentuale di fusione inferiore allo 0.002, e se i membri del
Consiglio sono in accordo chiederei al mio sottotenente – anche lui un
fuggitivo: meccanico di bordo al Settore di Detenzione F si era eletto
procurando di contrabbando due nuovi microchip identificativi – di esporre loro
le coordinate di volo in linea di aggancio dei ricognitori ostili, in modo che
il Consiglio voti in favore della Missione X secondo coscienza».
Videogioco di inerzia spaziale, inarrivabile
prodotto di passanti controculture doujin giapponesi di fine XX secolo,
shoot ’em up laterale estremamente cattivo che menziona come
niente fosse Thunder Force, Gley Lancer, Gradius e altri ventiquattro o
venticinque distruggitori orizzontali di passaporto Irem esistenti
unicamente a livello teorico, Deadly Edge avviene alla caduta di X68000
nella misura di una detonazione atomica da cui farsi investire in
atteggiamento di attesa e con tutti gli onori, sigaro plutoniano e whisky
doppio malto invecchiato un anno luce nelle miniere di Mercurio per
solennizzare i cadenti residui delle umanità confinanti impugnando il joypad
Super X della Hudson Soft compatibile MSX e realisticamente anche Amiga; non
si sa bene chi siano questi di 6th Squad Projects. Si ritiene tuttavia che il “team” in questione
dovesse risolvere in due singoli esseri umani venuti dal nulla che
ricalcitranti di accettare che il macchinario della Sharp dovesse nel
Novantacinque abdicare in favore di PlayStation decidono di imparare a
programmare in Assembler e di sviluppare contestualmente un videogioco di
astronavi convenzionali che risultasse di struttura e che quantomeno
suffragasse nel Novantacinque la calligrafia degli intramontabili Maestri
montanti upgrade roteanti, pod a stazione dinamica, lanciarazzi
posteriori antigravità: il pulsante ausiliario viene delegato quindi alla
scomposizione di tali supporti esterni capaci di bloccarsi al bisogno e in
secondo luogo assecondare le traiettorie del caccia.
A margine di un mezzo che alla stregua del
Concorde aggredisce il cielo e si divora il vento arriva il colore – e il rumore
– dei videogiochi laterali classe ’92 che non devono chiedere mai; e difatti,
Deadly Edge collima gli stili – e con essi l’impronta formale che Capcom rese in
sala giochi tramite CP System, che per dire è il corrispettivo arcade
dell’X68000 – dello shooter giapponese più pragmatico, quello in cui le
procedure d’aumento del punteggio si mantegono cosequenziali la consumazione
frontale senza il vincolo del punteggio stesso, e per quanto l’opera di 6th
Squad introduca un convincente sistema di avanzamento bellico progressivo stante
il quale la potenza di fuoco si acquisti al mantenimento del laser primario, non
si dovrà assolutamente dire che la migliore risorsa dell’uccisore ricade
nell’innovazione; Deadly Edge, invero, si limita a garantire quel predeterminato
fabbisogno di ferro fuso pesante e megalopoli da radere al suolo che vent’anni
orsono si ingeriva più o meno regolarmente ricavandone gioia, e ci rammentiamo
adesso di questo Gaiares portatore di gioie che a ogni modo non realizzava
questo travolgente suono MIDI di sintetizzazione di chitarra elettrica estesa e
di effetto speciale su adiacente voce, non scatenava l’inferno dei
proiettili-ventaglio che uccidono veloci, non risiedeva su floppy disk da cinque
pollici e un quarto. E sebbene la questione del supporto non sia un fattore
discriminante, oggigiorno un po’ tutti si dovrebbe considerare di ritornare ai
meravigliosi floppy disk di una volta, così eleganti e flessibili, leggerissimi
tagliano l’aria.