Se
non che, Dempa inventò il retrogaming. Fu una intuizione affatto
impudente nel Novantadue, sull’X68000 di classe borghese che rifaceva i coin-op
robotronici senza rischi di sovraccarico del nucleo; avevamo già visto i giuochi CP
System riprodotti al pixel, ma la Video Game Anthology sapeva il fatto suo. La
rassegna sarebbe arrivata a tredici uscite – l’ultimo volume,
Baraduke, è
addirittura datato 1995 – di importanza superiore per l’indottrinamento alla cultura del media
videogioco, il quale veniva caricato della funzione di vettore del suo
stesso retaggio dopo che
la generazione di Space Invaders già incominciava a superare i trenta e a divenire
malinconica. Terra Cresta insegna le teorie sul gimmick a
formazione, componenti da assemblare in modo dinamico per formare una astronave
scomponibile con metodo di sparo a fascio o a grappolo. Quando uscì in arcade, nell’Ottantacinque, lo Xevious di Namco se ne andava in pensione.
Come ben saprai la colonna sonora si scava uno spazio suo
dentro gli anacronismi terracrestiani, coi dinosauri e postazioni di ferri e tecnologie
installate nel mezzo della preistoria/post-storia colonizzata dalle macchine-ragno; la
colonna sonora è una mano in fibre di atomi di nichel che mantiene vivo il manovrante
tanto per fargli ripetere un centinaio di volte il passaggio dei razzi a ricerca, prima
del quarto upgrade. Vi sono codeste basi numerate che se colpite rilasciano doni, pezzi:
non solo linearismi, in Terra Cresta. La mutazione dell’apparecchiatura volante è
trasformatrice, componenti che si automizzano (atomizzano), automatizzano (pneumatizzano),
motorizzano (aeromodellizzano) in aggancio idraulico perfetto tre quattro cinque volte e
poi la fenice, la trasmutazione finale in uccello mitologico infuocato che «ho
visto una luce di altro mondo viaggiare veloce, non ho potuto schermare il bagliore anche
a visori nucleoelettrici attivati» di esigua permanenza ma di letale
invulnerabilità. Il secondo bottone dell’XE-1pro o in alternativa dell’XE-1st2
– si, è
inimmaginabile accostarsi a un X68000 senza prima munirsi di tali accessori neri e
arancioni – smonta le estensioni in creazioni di avamposti di silurazione potente o
frammentaria. Terra Cresta. Vai di Moon Formation, Cyclone Formation, Extend
Formation, Cross Formation: cambiano forma gli attacchi al nemico nostro
amico che se non esistesse altro che transoformers e fenici. Terra Cresta.
Grafiche allarmanti in 31kHz a colori limpidi, semplici ma limpidi.
Terra Cresta. Come a dire: «zitto tu, torna a
masturbarti sulle pagine di Cucina Moderna e visto che ci sei delega alle
persone serie il compito di educare il
mondo al videosparo serio, tu che campi delle coreografie del Mondo di Patty e Lazy
Town». Terra Cresta. A determinare il fatto di sapere cosa è e cosa non è. Cosa
è lo sparatutto giapponese verso l’alto degli anni ’Ottanta, schematico, rigido, a
singola velocità, a doppio reattore. Cosa non è lo sparatutto giapponese verso l’alto
degli anni ’Ottanta, divertente, veloce, giocabile, praticabile. E sarà pure così
bastardo e fascista, a noi autori, addetti ai lavori, lavoristi, laburisti importa
grossomodo un qualcosa vicino allo zero poiché avrebbe scarso peso uno spara e fuggi dal
basso peso che ridistribuisca il livello di difficoltà fino a rendere vivibili pure le
terre invivibili di Terra Cresta. Qua la mano, Nichibutsu: approviamo. E se guardiamo,
puranco il Moon Cresta concepito in epoche preindustriali insinua
allocuzioni di rivoluzioni con l’attaccarsi di unità lunari con cui spari seguendo Space
Invaders, sempre lui, ma coi nemici dalle traiettorie fantasiose e dal design fantasioso
e dai colori fantasiosi, fantasilandia nello spazio, luna park spaziale, spazioso, se si
vuole del due per cento meno intransigente del Tomohiro Nishikado in divisa, ultima linea difensiva
del Giappone in perpetua guerra con gli invasori del pianeta H. Questa è la storia.
Costei è la carnificazione della esistenza di un inizio delle cose, delle idee che hanno
rimodellato i sistemi di dismembramento dei marchingegni alieni a spigoli di Cho Ren Sha
68K, dell’Aribus A330.