Sensible Software
teneva in mente un luogo miniaturizzato abitato da omini paffuti non più alti di
cinque o sei pixel. Si era incassato questo loro modo di essere dove che
c’erano i nani grazie a
Sensible Soccer
finendo per non riuscirne a fare a meno per tutti i primi ’90, così
poi quando dissero che usciva Cannon Fodder,
e viste le immaginine che iniziavano a venire stampate sulle riviste di
settore italiane pensate per i dodicenni si pensò che questo qua potesse diventare
un ulteriore
videogioco per cui vivere. E si andava pressoché a colpo sicuro a quel tempo a
investire sul team inglese, che irrompe con questa cosa territoriale
multidirezionale, una sensazione di guerra che intende sorprendere attraverso
l’ausilio del mouse come sistema di controllo unico e indivisibile, poiché
bisognava essere differenti, già che escludendo la questione dove che per finire il quadro si
doveva sparare e di nuovo sparare si sarebbe dovuta valutare la posizione dei nemici
e delle basi nemiche a livello geografico, opzionando il metodo di
rastrellamento in virtù della loro movimentazione su mappa. I gruppi spaiati
fanno bue. Ma devi usare la mappa.
Anche realizzando una struttura a missioni
antologiche, la sfida si consuma prolifica sul grado della variazione degli
obiettivi: accade di uccidere tutti, e quindi ancora di dovere abbattere un avamposto
nemico a mezzo di pioggia di bombe in una offensiva di tipo chirurgico. Si è contenti, dal momento
che il conflitto si sviluppa
assai fluidamente e si ha più o meno sempre il diretto potere decisionale
circa i soldatini da mandare al
massacro, a funzione di questo sense of humor con cui programmatori
si figurano la questione della dipartita allora quando la collina dei caduti,
ai quali si conferirà medaglia al valore in contumacia si riempie di croci,
difronte alle nuove reclute che si mettono in fila in attesa di finire anche
loro sotto terra per la patria. La battaglia è gioiosamente cruenta. Non risparmia sul fiotto di sangue e gratuite crudeltà
appena che il nemico viene colpito e rotola in terra agonizzante, a impanarsi
sino a che non gli viene inferto il colpo di grazia; a suffragio, si dovrà infierire sulla carcassa,
bucando la stessa più volte post mortem e causandone lo sbalzamento da
proiettile. Nulla di realmente cattivo. Il filo conduttore dello scherzo si
manifesta plateale nell’atto della profusione del divertimento nero, a
mischiare il serioso con la parodia pur creando il gameplay politicamente
scorretto, liberamente guerrafondaio e ramboide su detto peculiare
meccanismo di avanscoperta in cui la singola unità del battaglione può
distaccarsi verso una missione solitaria e passare alla storia.
Ci sono le casse. Dentro vi si può trovare
la sorpresa, cose, armi. Le granate. Sicché poi se si spara su di esse è
altressì possibile creare l’esplosione a catena e realizzare l’omicidio di
massa, lo sterminio per cui il titolo sembra pensato, sulla forma della
revisione arcade dello strategico di guerra. L’ibrido vince, poiché a
vincere è l’innalzarsi di questo stato di disfacimento dei materiali in 2D,
che se ne vanno a frammenti oltre il bordo dello schermo comeché a fare la grandezza
dell’opera di reinvenzione dello schema di puntamento e morte. Pertanto sì,
la guerra non è mai stata così divertente. Il motto.
La sequenza campionata che dà il via all’introduzione letale, di quelle che
rivendicano l’incisione della colonna sonora su separato Compact Disc, da inserire
nella scatola. Il chip audio di Amiga, evidentemente mancante di supporto ottico e
privo delle
tecnologie in dsp dei correnti sistemi fa girare una canzone al
sintetizzatore che invero la voce la senti nitida di missaggio a studio, e
ne vorresti udire ancora. La sofisticatezza del suono
si estende per cui alle fasi ingame, le quali s’impregnano dell’effetto
ambientale, dello scorrere dell’acqua (dei fiumi), del rumore del fogliame
nella giungla, i versi degli insetti. La grafica è quantomeno ricca. Dispone a largo schermo e focalizza il dettaglio
microscopico dei pupazzi
militari in fase di animazione, nella deflagrazione di tanto di mezzo di
trasporto supplementare da utilizzare al bisogno, il quale rivela inoltre un lavoro di
riproduzione in scala proprio da levarsi di mezzo. Tutto vuole funzionare
sul filo rifinito della pixel art a iniziare dal briefing, già
che si spreme Amiga per fargli visualizzare il multiparallasse sul genere dello
shooter orizzontalissimo giapponese, prima della messa in opera dei
territori resi in
semiprospettiva, a creare sostanza, massa bidimensionale di assoluto stile
quanto le sagome digitalizzate dei programmatori in
alta uniforme, alle schermate di caricamento, allora che diventa chiaro che
non ne uscirai vivo.