UGH! di @Luca
Abiusi
Dici
di aver annichilito il record del punteggio a Bubble Bobble, Rastan Saga e
Double Dragon, ma dovresti in
verità recuperare un Amiga e diritto ripiegare su Ugh!. Scoprirai come
l’overscan riesca in Ugh! a descrivere un tipo di giocattolo non definibile,
che stia tra il puzzle game e l’arcade che si trova in sala giochi su
matrici Jaleco, nel Novantadue. La classe è il taxi preistorico. Il mestiere
del saper innovare (rinnovare) il gameplay del joystick: stillano dall’opera
di Ego Software forme di oggetti levigati come segni d’amicizia verso cui
non si può che disarmarsi degli istinti, sicché davanti gli schermi rifiniti
degli omini della microanimazione si diventi militanti delle scuole
dell’infanzia dove si disegnano i disegni dei bambini che giocano e nel
luogo in cui il sole sta sempre giallo in alto a destra. Giapponese, Ego
Software. Ci racconta di questo videogioco che qualora pensato per le sale
giochi avrebbe fatto la scuola del videogioco-divertimento, e sarebbe
passato alla storia per essere stato tra i titoli superiori della Taito,
visto che gli sprite si muovono fluidi e che solo Taito sapeva fluire. E
invece Amiga. Ego.
Prima di essere game designer urge
studiarsi Ugh!. Si imparerà a dare valore ai dettagli e a caratterizzare
ambienti di codificazione, di estremo sfruttamento delle risorse tecniche
della console, del computer. Si alimenterà la macchina del divertimento a
mezzo di implementazioni dei sistemi di controllo assolutamente sensibili, e
si creerà lo stato di dipendenza pesantemente dimensionale di questa specie
di elicottero fluttuante a inerzia e in accelerazione per creare la
resistenza dell’atterraggio, che deve essere morbido, se no si cade. La
manovra: è consigliabile rallentare in discesa. E si deve fare attenzione a
non travolgere la clientela, che altrimenti si vedrà precipitare in mare,
annaspare in ammollo per un po’, e poi annegare. Si potrà evidentemente
agire in salvataggio e quindi adagiarsi piano sullo specchio d’acqua e
attendere che il malcapitato arrivi a nuoto verso l’abitacolo. Sono
condizioni limite. Se si è abbastanza abili si scanserà di eventuali manovre
di salvazione: serve solo di rispondere in accortezza alle istruzioni degli
abbordati, che già prima di salire indicano col fumetto il numero della
caverna di destinazione. Opportunamente, il tracciato è reso a ostilità
graduale, tortuoso in assegno di complicazione dell’esistenza. E ciò
nondimeno ci si abitua. Lo stage andrà per cui completato entro un tempo
limite da amministrare con criterio, altrimenti succede che si arrivi
all’ultimo cliente in riserva, e che per la fretta si finisca a bagno.
Alla struttura di base verrà ad aggravarsi un
blocco di interessanti diversivi: masso, albero, dinosauro. Al che, il primo
dovrà essere raccolto liberi da zavorre e lanciato sull’albero, per ottenere
il bonus di allungamento del tempo, o ancora sulla testa del dinosauro, per
cagionargli stordimento e così liberare il passaggio. Il titolo dispone gli
elementi della tradizione degli schermi fissi che creano l’assuefazione, e
seppure si avverta il bisogno di un qualche livello in più si potrà sempre
decidere di non utilizzare le password e di ultimarsi i 100 quadri in apnea.
Ché succederà di dover superare taluni sbarramenti in completa immersione e
giocare a evitare di urtare la roccia, fatto che usa comportare istantaneo
il game over. Il compartimento della tecnica vive di vita propria,
poiché vivo è il dettaglio del pixel, degli sprites di marmorea lucentezza;
l’opera di caratterizzazione concepisce arrotondato il cavernicolo, e vi
sarà la bellona bionda, il nonno col bastone e il rude omone, tutti a
muoversi e deambulare rigorosi, gran numero di frame d’animazione, e malgrado
la ristretta corpulenza si vede chiaro e riconoscibile il prodigio del
disegno particellare nell’insenatura del masso che sbatte gli occhi in modo beota,
o nell’albero che quando viene
colpito muta espressione, e quasi piange. La fauna terrestre e di cielo
riporta il tratteggio virtuoso di chi francamente sa discorrere d’arte e di
videogiochi, e se mai in futuro ne verranno scritte antologie, Ugh! sarebbe
menzionabile in quanto esponente centrale della corrente del figurativismo
videoludico degli anni Novanta. Il suono, affidato a Rudolf Stember (Z-Out,
B.C. Kid), dice di suoni di ritmo e allegria, col modulo portante che
ancora adesso noi si canta di tanto in tanto poiché mirabile, divertente
come può (deve) diventare il gioco in sé, se appena dotati di un minimo di
cognizione, non di peculiari nozioni critiche, non di peculiare cultura per
il bello.
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