ASURA BLADE: Sword of Dynasty di
@Luca
Abiusi
Si vuol ignorare l’esistenza di
Asura Blade sebbene lui sia un’interessante alternativa al settore del
picchiaduro a incontri di struttura Capcom. Il videogioco viene sviluppato dalla Fuuki nel 1998
sui mercati asiatici per rimanervi confinato, sembra a causa dell’elevato
costo della scheda, la Fuuki FG-3 System. Si tratta di un
hardware proprietario. Ma a vedere, la scheda presenta diverse
analogie con le motherboard a 32 bit dei sistemi da sala di Jaleco e Data East, con i quali
condivide un’architettura a processore MC68020 accelerato che non si
allontana poi tanto dalla
CP
System II, e decretiamo ciò sulla base della quantità bidimensionale
profusa sul grado dell’animazione. Apparentemente, Asura Blade
si presenta come beat
’em up all’arma bianca in animo di riprendere le caratteristiche principali di
Vampire Savior e Jojo’s Venture,
auspicando a obiettivo finale il
conseguimento di una sorta di incrocio delle combinazioni rispettive.
Beh sì, videogioco di mazzate per i casual
gamer. Ma solo a metà. Questo si traduce nel fatto che una volta che si
è premuti in azione non obbligatoriamente consecutiva tutti e tre pulsanti
realizzanti la struttura di combattimento predisposto da Fuuki una
combinazione di due “hit” almeno viene suppergiù sempre trasformata, dove
che l’idea sarebbe quella di non tenere l’assillo di trainarsi dietro
marzialismi risolutivi e sovrastanti che siano il prodotto di cinque o più
direzioni del joystick e sfioramenti di bottoni da calcolare al millesimo di
secondo, che tra le altre cose non sempre riescono, e si deve gaudiosi
annotare sul taccuino delle cose da ricordarsi che il sistema riveli una sua
funzionalità sul lato più cadenzale, non è scientifico ma funziona, la
scorrevolezza si materializza costante, ecco questo lo sottolineamo, ché vi
è sostanza, si picchia a oltranza, i cattivi finiscono al tappeto e avverti
come la sensazione che sei forte. Ma in realtà non lo sei. Il punto è
questo. Per quanto una sua struttura logica di attacco al nemico il
videogioco ce l’ha, ché ci si trova invero difronte a un intrigante
ripensamento dinamico della serie degli Zero malgrado la decurtazione del
sistema di controllo, da cui il riferimento a Jojo’s Venture, Asura Blade
tira fuori l’algoritmo della versatilità e consente il libero accesso al
suo potenziale, che viene eviscerato subito.
Ma però sì: il videogioco di mazzate si fa
apprezzare. Poiché se ne esce con tanto di meritevole
combo system che sicuramente implica i suoi benefici davanti ai
cervellotici tempi
di scatenazione usufruibili a casa Capcom, in ragione della presenza di una
finestra di input semplificati, che a ogni modo non sembrano influire sul
ventaglio di mosse performabili anche qualora ci si confronti con certe primizie
SNK facenti uso di meccaniche tritasto similari. Il videogioco si concede la
prominenza delle anatomie. Quindi le animazioni rimangono ben più che unicamente
discrete, essendo che si vede che i designer hanno messo i frame, sebbene che si
debba poi rilevare l’occasionale riciclaggio di alcune intercalazioni chiave che
muovevano Lilith e Bulleta, in Vampire Savior, qualche anno prima; i luoghi, depositari
di contesti alquanto generosi di particolari, indulgono al
tocco virtuoso della trasparenza, all’effetto luminoso a tutto schermo e in
piena fluenza dello sprite hardware, e si vuol reggere il paragone con i più
blasonati picchiaduro
avvistabili in sala, i King of Fighters, i Last Blade persino nello stile del disegno, e pure nonostante un tratto
anime di strettissima
omologazione fantasy. Si introducono per questo le orchestre medievali. Ci
sta il parlato digitalizzato e in definitiva sì, abbastanza tutto
in Asura Blade si assesta sul beat ’em up medio-alto dei
primi ’90, sennonché è proprio il suo arrivare in ritardo in arcade, e per altro indietro ai titoli CP System III, a definirne
un limite rilevante. Eppure nel 2000 Fuuki si sarebbe ripresentata con
questo Asura Buster: Eternal
Warriors, conseguendo la consacrazione che nel 1998 aveva giusto di un filo mancato.
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