DANGUN FEVERON di @Luca
Abiusi
Il manic shooter, nato a
metà anni ’90 come branca revisionista dello sparatutto a scorrimento, si propone di
estremizzare le caratteristiche dello shoot ’em up classico attraverso il completo
riempimento dello schermo. In questo sottogenere la navicella possiede un punto debole
centrale, generalmente grande quanto un pixel, avente la funzione di ammorbidire una
condizione di sparo altrimenti insostenibile. Molto apprezzato in Giappone, tanto da
collocarsi come ultima testimonianza di continuità con la sala giochi degli anni
’80, il manic
shooter si identifica nella software house che, di fatto, ne detiene la paternità:
la Cave. Nel 1998 Dangun Feveron era il quarto titolo targato Cave ad
approdare in arcade, dopo gli apprezzati
Donpachi,
Dodonpachi
ed EspRa.De., e prevedibilmente non modificava le caratteristiche che questi
ultimi avevano imposto come standard. Tuttavia qualcosa è cambiato: in Dangun Feveron la
velocità del mezzo volante si decide prima della partita, quindi non in fase di gameplay
come variante allo sparo continuato. Ma le “novità” vanno oltre le semplici
variazioni dinamiche.
Diversamente da quanto
avvistabile nei due
“Donpachi”, il nuovo sparatutto Cave concede fasci d’attacco potente
(powerful attack) e trasversali da attivarsi a fissatura
del pulsante primario. Nello specifico, si opterà per il Lock On, il Bomb e il Roll
Type. Il primo consiste in un raggio a serratura del bersaglio che è simile, per
funzione, al fascio serpente di
Raiden DX.
Divergente la seconda opzione per il supporto supplementare continuo di bombe aeree e
consistente la terza, col suo sistema di
difesa a caricamento che disegna una barriera circolare attorno l’astronave
avente
possibilità di scarico di energie. Vi sarebbe larga possibilità di scelta, ma si finisce sempre con il fascio alla
Raiden II.
Un titolo di proiettili veloci, questo Dangun Feveron, dal livello di resistenza elevato
che però garantisce una manovra maniac a schemi (schermi) evolutivi. Eludere le palline
supersoniche appaga parecchio in fase di slalom, e se sopravvivi ti senti
qualcosa di vagamente superiore. La opera Cave reclama ritmo, concentrazione massima, capacità di previsione.
Inutile scansare lateralmente gli attacchi: devi passarci in mezzo, affrontare il pericolo
a testa alta, portare a mente tutti gli spazi di evasione che si creeranno tra le
ragnatele di laser e bombe. Per quanto ossessivo e riempitore, Dangun Feveron
appresta
l’intrattenimento puro nel caos della convulsione e del fracasso.
A questo punto sembrerebbe di trovarsi con una
semplice evoluzione di Dodonpachi, ma non è precisamente così. Il fulcro di
Dangun Feveron non vige tanto nella grafica o nel sistema di gioco quanto
nel suo autocertificarsi disco shooter già dal sistema d’acquisizione riguardante certi omini in silhouette psichedelica,
per cui Dangun Feveron si immette negli anni ’70 anima e pixel in quanto febbre del sabato sera nello spazio
e
assume luogo sul raggiro acustico glitteroso, funky, un po’ zatteroide. Disco music in dosi
massicce per realizzare il gameplay che spara brillantina e polvere di stelle
e saturare notevolmente l’azione a video tracciando i metodi della percezione
e del
movimento. Si spara immaginandosi al centro di una pista spaziale, catenina, una disco ball che riflette luci violastre
la colonna
sonora è tutto. Fra schitarrate di black music, disco funk e sviolinate
molto fantasy ci si sorprende estimatori del kitsch, e si vorrebbe
essere Tony Manero, John Travolta. Gli arrangiamenti, in
particolare, riflettono con chiarezza la vocazione settantesca del team dei musicisti.
La PCB suona. E non sembra suonare suoni digitalizzati; come in sala da ballo, Dangun Feveron si scatena trascinando il
giocatore in un musical spaziale in bilico tra il rosa delle
paillettes e il rosso dei sandali di trenta centimetri, ma lo fa con stile. La
scienza del decennio discotecaro viene da Cave ripercorsa scrupolosamente
grazie alla fusione di colori e musiche a tema, per infine risultare
centrale nel definire il tempo di questo manoscritto maniac rivolto alle
epoche d’oro dei Bee Gees. La funzione ludica, pur manifesta, è in Dangun Feveron solo secondaria.
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