GUWANGE di @Luca
Abiusi
Esiste
la via che conduce a sparare a tutto. Poi quella dove ancora che a sparare a
tutto devi provvedere all’armamento di futuristici sistemi di potenziamento
supplementari e antigravitazionali. Una sorta di shoot ’em up 2.0 e infine
c’è la Cave. Allora questa, ricorrendo allo scomponimento dei registri che
competono al settore intero, intorno al Novantasette dà luogo al manic
shooter fuoriuscendosene con un videogioco di isolamento dalla società
e disagio ma tuttavia molto tecnico qual è Dodonpachi, seppure che dentro a
Guwange si racconta il periodo Muromachi, eppure il motore del videogioco
detto rimane lo stesso di Dodonpachi, shoot ’em up 3.0 in cui la
moltiplicazione dei punti arriva a essere multiplicazione, criterio di
conseguimento non tanto del quadro superiore ma dello score superiore;
dall’essere disfunzionale, il rallentamento se non invero il bloccaggio degli
stormi degli sprite generati dalla scheda coin-op diventa in questo subgenere
un evento strategicamente necessario ai tempi d’incursione. E, quindi, una
clausola di design.
Ci sono tre figure giapponesi
mitologiche portatrici di stand da evocarsi come dispositivi di
attacco frontali, sulla scorta di una infrastruttura che dietro
quest’apparente linearismo verticalista chiede di somministrare gli stock
delle smart
bomb in virtù di misurazione a termometro, oltreché in funzione del
quantitativo di fuoco prodotto dagli avversari; segue clamorosissima la guerra di ferri e armature, purché sia
resa in essa il sincronismo dello sparo
e di nuovo una gabbia di spostamenti
schematizzati verso due sistemi di counters dal rateo divergente. Il punteggio
massimale andrà così modificandosi sulla base di linee di attacco che
agiscono a incoraggiare una logica distruttiva ramificata, per cui
il rastrellamento in successione di tre o quattro guardie appartenenti al medesimo
clan farà incrementare uno skull
counter che allorquando riempito ricompenserà
in monete d’oro (coin counter). È dunque imperativo per
l’economia di proliferazione del gettone assumere una strategia di sterminio
a catena, per il fatto del punteggio che viene quintuplicato di cui si è
detto, agendo in accordo con la manovra di frenaggio del proiettile nemico,
che qualora imbeccato dallo stand cristallizza per certuni istanti.
Guwange è una
indiscutibile prova di carattere. L’artwork marziale di ricerca storica
scrupolosa, questo character
design che si assesta davanti ai dettagli dello sfondo riferiscono
l’abilità di Inoue oltreché la maturazione stilistica del soggetto Cave.
Il periodo Muromachi è rievocato con manifesta attenzione per gli accadimenti narrati
nelle leggende del Giappone antico talché trovare uno shooter che gli sia pari in tal senso
risulterebbe pleonastico; un coloramento a strati e intenso sul tono, l’ausilio di animazioni
fluidissime, sprite enormi e velocità serrata realizzano una visione assolutamente
romantica della battaglia lì quando Cave traccia il level design di scorrimento
in su con breve overture laterale, e miete
sostanza traverso la spiritualità onirica dei personaggi, ripassandoli a
stilografica, e infine agguantando l’alchimia tra suoni e immagini, a
definire la pace dei sensi su di una campionatura acustica che imprime
ridondanza, e pure il suono pulito dei tamburi sa trovare il suo tramite fra lo strumento
Shamisen e la profondità dello Shakuhachi, entrambi fedelmente riprodotti.
Indubbiamente Cave, sotto il segno della discontinuità, e oltre la dottrina dei Maestri
si pone alla testa di un vagante e residuo esercito ronin, che tale doveva
essere nel 2000 quello che stava incominciando ad abbandonare le sale giochi
per mancanza di materia prima, grazie a questa via traversa e speculare
allo sparare a tutto. Che in un certo senso era anche l’unica rimasta.
|
|