DRAGONNINJA di @Luca
Abiusi
Come Double Dragon, Bad Dudes Vs. DragonNinja riflette il suo tempo. A
fine anni ’80, dopo che Technos se n’era uscita con l’ultraviolenza e prima che Capcom
rendesse la stessa un argomento per le masse era il picchiaduro a scorrimento il
genere predominante. Quello che sapeva manipolare le coscienze. Erano altri tempi. Lo si dia
il DragonNinja in mano al ragazzetto cresciuto con la sua scatola a 128 bit e non vi
durerà un minuto. Lo si ridia, invece, al veterano del videogioco malsano da
imparare a memoria e vedi come questi saprà tirar dritto fino quasi alla fine,
adottando una serie di misure di aggiramento e trucchi, ché lui sa tutto,
conosce per filo e per segno dove e quando un determinato mostro mostra il bug,
l’errore di programmazione che se magari salti quando lui si abbassa finisce che
s’ammazza, così poi tu ridi.
Strutturalmente simile a
Shinobi, DragonNinja
si colloca nel segmento del side scrolling beat ’em up di
occasionale diversione, come a differire rispetto al titolo della Sega sulle
abilità del protagonista, che è in
grado non solo di lanciare oggetti affilati – in questo caso coltelli – ma anche di produrre
un corpo a corpo di pugni alti, bassi, gran calcioni di Street Fighter e Van
Damme,
per realizzare
eroe videoludico tipo Rambo, tipo qualcosa. I livelli da percorrere sono in totale
sette. Questi offrono invenzione un po’ più in là, dove si combatte sul
camion, e ancora più avanti, durante il quadro finale, nel quale si resta
appesi all’elicottero. E si potrà agire coadiuvati da un secondo
avventore umano, gradita opportunità con la forbice di manovra che in
single player resta moderatamente ristretta allorché la cpu si fa sentire
pesantemente già a un terzo del percorso coi sintomi della frustrazione che
dicono che per superare i
restanti schermi si dovrà sacrificare pomeriggi interi, seppure qui si
ritiene che la
pratica di estremizzare lo schema fosse una piaga a cui portare ubbidienza se davvero si
voleva appartenere a quel tipo di universo e definire il progressivo miglioramento del
punteggio, ché poi va a finire che se nessuno mette conio nel cabinet quel cabinet viene
rimosso e non è che poi i restanti cabinet siano di meno fasci.
Nei casi più estremi si conquista la
militanza del nerd. Appare strano, ma è proprio il coefficiente di ostilità
portato al limite a definire l’assuefazione, a produrre il momento di gran
divertimento da alternare alla fase della degradazione fisica, cerebrale.
Checché se ne pensi, visto in funzione della normalizzazione del livello di
sfida occorso con l'introduzione dei punti di ripristino, non pensiamo
sia opportuno costipare il titolo Data East solo in quanto potenzialmente
ingiocabile. Ed è per questo che l’aspetto estetico riveste un ruolo
centrale e pacificatore: bisogna saper subire queste atmosfere da action movie
alla John Woo o
Johnnie To in cui
ciccioni eccentrici, punk travestiti e boss biomeccanici che buttano i razzi
attaccano da tutte le parti. Ma la scelta di New York quale città
di sfondo, e dello stereotipo metropolitano dei Guerrieri della notte rimane iconograficamente vincente.
Le colorazioni sono belle. Le
animazioni tante. Notevole il numero dei fotogrammi usati per il manichino
in canottiera, e il parallasse e tutta la stratificazione orizzontale del caso
abbondano, malgrado che talune scelte stilistiche sul design dei nemici risultino in
alcuni casi
approssimative. Il fronte sonoro si rivela discreto per effetti e musica da strada
coerente all’azione, ma è una cosa che possiamo dire adesso, ché al
suono, nel frastuono della sala giochi, non avevamo fatto caso. Era bello,
DragonNinja. Ci abbiamo anche giocato in due, una volta. Ma ci sa che non
superammo il primo livello.
|
|