ROBOCOP di @Luca
Abiusi
Sai
che è Data East per un discorso di struttura. Ché dopo che hai giocato a Robocop
ti ritorna in mente
DragonNinja,
che è lo stesso convenzionale titolo di mazzate. Con gli sprite diversi.
E una diversa colonna sonora. Monumentale l’animazione del Robocop, simile anche per postura al suo corrispettivo
in celluloide nel momento in cui impugna la pistola. A inizio gioco si tirano giusto i
pugni d’acciaio. Fatto fuori il grappolo nemico di antipasto vien
consentito di utilizzare
l’arma in condizione di puntamento multidirezionale e potenziabile, per sottostare ai
dettami dello sparatutto dell’andare in orizzontale e fare, e saltare. Eppure Robocop
sovrasta lo shooter ordinario per condizioni dinamiche e variabili, ché ora bisogna
definire il corpo a corpo, ora bisogna sparare le raffiche. Action game sarebbe quindi la
definizione più consona a descrivere il Robocop di Data East, pezzo di ferraglia. Roba da
museo.
Videogioco semplice. Di quelli dove bisogna spostare la
levetta del joystick verso destra. Ve ne è a grappoli. Dinamiche invariabili e
interruttore del cervello che si mette sull’off nell’attesa che accada qualcosa che
rimetta in discussione la linea di sparo sinistra destra. Robocop è gioco scarno,
monotono, anche prolisso ma però divertente poiché portatore di meccanismi
primitivi. Si rammenta ancora l’intermezzo in soggettiva, pensato per variare, in cui
bisogna darsi da fare nel poligono e centrare i cartelloni. Scenario ripreso dal film,
quando il nostro adopera il pistolone e frantuma le sagome cartonate, mentre gli agenti si
voltano, basiti, a guardare e a dire. Gran ricordi. Il titolo s’impianta nel territorio
del gioco seriale autenticamente difficile per determinare il flusso monodirezionale degli
anni Ottanta di camminamento, scansamento di proiettili e non è che sia semplice, vista
la stazza del robot, viste le traiettorie che se anticpi il salto di un decimo di secondo
sei terminato. Robot pachiderma, affatto agile, blocchettoso. Ma doveva esser così. Bello
quando colpisci un nemico alla finestra e te lo vedi spiaccicarsi al suolo, ma non tanto
bello quando devi saltare o indietreggiare per evitare un ostacolo che, in ogni caso, ti
colpisce comunque data la macchinosità, data Data East, muoviti dico, avrai anche
l’armatura in titanio e la gravezza del titano, ma se dopo non mi sai deambulare...
Tuttavia lo scontro col guardiano avvince. Vi è il
robot-prototipo scemo che spara agli innocenti e non perché è cattivo, ma perché è
scemo, quello che nel film ruzzola le scale e rimane a pancia in su a gemere. Level design
inesistente. O meglio, lo schema e le tecniche di avanzamento realizzano un surrogato di
struttura di assunzione del gameplay, e cionondimeno la ripetizione si manifesta su
livelli allarmanti e le intelligenze artificiali sembrano possedere un’unica routine. Fa’
qualcosa, dico. Cambia metodo. La variazione accorre ma solo occasionalmente, qualche
intromissione di sprite anomali come una gru, come un automezzo, per realizzare la
sorpresa del diversivo. Ma alla fine la parte migliore di Robocop è l’estetica. Messa in
cassa la buonissima caratterizzazione dell’umanoide, si denota discreto il dettaglio delle
strutture in funzione del parallasse, che è solido, spettacoloso quando si è sul
grattacielo della OCP. Mirabile il disegno dei boss, i quali potevano invero animarsi con
una ventina di fotogrammi in più, e comunque riuscita la ricostruzione delle sequenze
portanti del film, ché lo sai cosa accade superato il primo quadro e la riconosci la
colonna sonora d’azione, che già otteneva un suo perché su pellicola. Effetti di gran
metallo, grossomodo realistici. In definitiva il videogioco Data East vive del suo
affermarsi tie-in del momento in un contesto temporale di bonaccia, dove si può
realizzare coin-op a partire dall’idea primaria del premere il tasto del fuoco e allo
stesso modo intascare i favori di utenze suggestionabili e un po’ ignoranti.
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