HANG-ON di @Luca
Abiusi
Hang-On non
vuole il realismo. Vero che nel 1985 non vi era ancora il
meccanismo fustigante del simulatore che fa male alle cose a cui vogliamo bene. Si sono messi a cercare le
similitudini tra codesto rudimentale esponente delle corse motoristiche e il
recente Moto GP. Pazzi. Hang-On è lo speedway nella sua micidiale essenza. Quindi niente loop sulla
stessa pista, ma situazione grafica mutevole così come lo sarebbe diventata in
OutRun assieme al potenziamento del motore
grafico in scaling, già qui su Hang-On trasferente come una
sensazione di potere andarcene a correre per le strade del mondo senza la
preoccupazione che dalla corsia opposta arrivino mezzi indesiderati a nuocere
alla complessa filosofia del racing game in due dimensioni di origine
Yu Suzuki, ché non vi è campionato a punti che regga l’impatto di una supercorsa
itinerante che ti fa procedere in piegata al solo costo di un gettone del
telefono, datoché quel particolare bootleg su cui eravamo soliti consumare
funzionava solo con quelli, ché le monete da 200 Lire tendevano a incastrarsi e
poi il gestore, signore distinto, praticamente un lord inglese nemmeno te le
rimborsava.
Presa coscienza della cosa che un bel
giocazzo di moto, quand’anche in 3D, che non sia un’ordinaria licenza con Valentino Rossi e
compagine non lo si vede dai tempi di
Riding Hero –
uscito nel 1990 e assai inferiore ai primi due Hang-On, ma di fatto
l’unico che ne ripresentasse il modello – non rimane che ritornare al
racing della Sega, per constatare come in effetti esso riesca a
trasferire il sentimento di guida di monoposto specifica riproducente
elegantissima l’estetica di una
reale
motocicletta Classe 500 pesante un quintale. L’oggetto del realismo è in questo caso addossabile proprio
all’accessorio esterno, comunque non distaccabile dal racing,
che evidentemente riferisce il miraggio (ma non più di quello) di una corsa
ufficiale, già che posizionati in sella ha luogo in effetti videogioco
fornito di questi meravigliosi limiti di struttura, difficile ma che però ti
fa gioire, prima di farti morire.
Al tempo funzionava così. Non è che te ne uscivi che iniziavi e diventavi
supercampionissimo in men che non si dica giusto solo perché i programmatori
avevano deciso che eri un menomato, così come succede adesso se ti compri un
videogioco x a caso no: dovevi dimostrare che eri all’altezza. Se no a casa.
Quindi il motociclistico mira a concedere poco alla volta,
perché è necessario farsi male. Vedere che aria tira. Dieci gettoni sacrificati al
tirocinio potranno significare il superamento di queste irritevoli curve sul
dosso con destrezza ma alle volte, e pure a conoscenza dei tracciati, di rallentare non
vuoi saperne e
puntuale finisce che ti spalmi sul tabellone a della Marbor (pubblicità occulta
ma negli anni Ottanta era normale, non farne un dramma). Certe moto vanno
piano. Se arrivi forte non hai modo di scansarle e allora imprechi, ti
rimetti in assetto, volano via i secondi e speri che non ti scade il tempo.
Che però scade. E proprio davanti al traguardo. Ravvisiamo effetto derapage:
frustrazione a parte il cabinet si espone idraulico come a essere il
dominatore della strada e ti sembra che hai il ginocchio a cinque centimetri dall’asfalto,
e l’adrenalina sale, le grafiche viaggiano, i colori brillano. Senti
che sta arrivando la rivoluzione. È quasi l’ora. Una Ferrari Testarossa è
appena sfrecciata davanti alla sala giochi e ti è arrivata la visione come
di un videogioco di Ferrari con il sole, il mare, le ragazze. Hang-On impone
dosi giornaliere di azione velocista da assumersi prima, durante e dopo i
pasti in quel di Yokosuka, adesso che abbiamo per le mani
Shenmue; ci siamo fatti un giro tra i vicoli, è sicuramente un
grande videogioco, c’è un emporio, è tutto talmente vivo, abbiamo parlato
con le persone, un’avventura che ti prende davvero ma davvero, siamo
sinceri, va a finire sempre che andiamo a finire dentro alla sala giochi
virtuale, dove guardacaso hanno messo il cabinet di Hang-On a renderci una
ulteriore, esaltante cavalcata.
|
|