OUTRUN di @Luca
Abiusi
“La macchina da corsa perfetta è quella che si rompe appena dopo il
traguardo”...Enzo Ferrari
La
visione dell’aspirante automobilista, l’illusione di poter vivere felici e
veloci in vacanza accostando Orange County e le sue spiagge: il cabinato originale di OutRun
introduce un volante con force feedback – il primo coin-op a farne
uso – che vibra contestualmente all’urto o all’uscita di strada, per ottenere
completa la restituzione del driving game. Ne fanno
ancora uscire una alternativa sit-down montante abitacolo, postazione
in pelle umana e display sensibilmente più esteso che qui in Italia diventa luogo di
culto quando neppure si
aveva idea di cosa fosse un coin-op vero e comunque, a dispetto delle
dimensioni, è grazie a questo cabinet superiore che OutRun può mettersi al
centro della cultura arcade ancora prima di venire consumato. Succede allora che il gioco automobilistico fa tendenza, si traina lo stile corsista dei
super vettori e rimira dritto l’utopia ferrarista del minorenne con la
cintura di El Charro: Sega (Yu Suzuki) vuol ridefinire il genere a
partire dalle icone del consumismo. Quindi opta per il lusso, il rosso.
Grafiche velocissime, suono esaltante, gameplay sovraesposto: OutRun è libero,
sconfinato ancora agli inizi del Novanta quando che lo si avvista al fianco di
corsisti di nuova concezione che evidentemente non possono reggerne il
carisma né tanto meno l’impianto di guida arcade di velocismo a oltranza, dove si è
splendidi, vento tra i capelli, biondona coppa-c per dentro e arroganza tipica dello yuppie
anni ’80 che vuole arrivare, ma arrivare non si sa dove e l’importante è che
si arrivi. Allora guidi. Il volante scuote già che quasi che la strada è
finita, e ti riesce di evitare il camion che corre sul lato opposto di un maggiolino che incrocia e
ti stringe contro il cartellone del secondo bivio in zona
superstrada, prossimi al dosso, dove la
situazione accade non sostenibile poiché non sai se dopo viene una curva
verso destra o verso manca e il
freno andrebbe usato. Ma non abusarne. Il tamponamento sottrae al
cronometro due secondi se va bene, e talune curve possono essere inoltrate al massimo della velocità
senza correre eccessivi rischi fino al traguardo, nel momento in cui la
Ferrari Testarossa cade in pezzi e folle esultanti ti proclamano Sommo
Imperatore del Classismo. Ma ci vuole il manubrio. Ché poi, col joypad in
mano e magari su Mega Drive vogliono farci credere che il tempo passa anche per OutRun.
Impudenti.
Il motore bidimensionale di OutRun è, di fatto, l’apice delle tecnologie a coin-op del periodo. La sensazione di fluidità e dinamismo
oltrepassa i limiti del video, scheggia la vista in un brivido di derapage e
orizzonti infiniti dai quali si vede il paesaggio che viene dopo, al tramonto, infilando
strettoie di pilastri a duecento all’ora, col dettaglio di bordo pista mostrante tabelloni,
case, strutture balneari. Funzionante il
metodo di sterzata progressiva. Puntuale in aggiustamento dà licenza di
accelerare finché
è dovuto, verso i bivi, la folgorante intuizione che taglia la partita in modifica del
track design conseguente, sicché l’atto del diramare divenga motivo di trasformazione,
urgenza di ridefinizione delle tecniche di sorpasso nonché dei tempi del trapasso, di
schianto sulle rocce di un Grand Canyon il cui imbocco s’era in precedenza ignorato in
favore del quadro coi mulini, quello dove ci stanno i prati in fiore e il cielo è sempre
più blu. OutRun, il videogioco più influente della Sega
e ancora
Magical Sound Shower, il sound arcade per antonomasia corrono paralleli verso la storia in
plasmatura di uno stuolo di ragazzini che prima dell’Ottantasei risulta
inabile a identificare il
delirio della velocità in super scaler, quell’effetto in bitmap che è un po’
zoom, un po’ aggiornamento a doppio processore, un po’ fantascienza agli occhi di codesti
possessori medi di Commodore 64 che è già tanto se possono permettersi di
comprarsi la
conversione di
Buggy Boy, che era
comunque venuta fuori piuttosto bene. Rivoluzione. Per mezzo di questa
rivoluzionaria scheda capace di generare sprite hardware manco fossero
pixel a quattro bit e attraverso l’imposizione delle mani di Yu Suzuki, che
fino all’altro ieri stava ancora tra le aule della
facoltà di Scienze Elettroniche della Prefettura di Okayama, OutRun sovrascrive
il videogioco che era stato e passa allo stadio successivo dell’intrattenimento arcade.
|
|