KNIGHTS OF THE ROUND di @Luca
Abiusi
Eh
sì, il Medioevo. Amori guerre
spade sangue avventura cavalieri re regine donzelle giullari furfanti castelli saccheggi
tenzone e spada nella roccia. Del resto, per Capcom gli anni bui eran
questi, mica la storia. Stavano nel mito letterario di Knights
of the Round (I Cavalieri Della Tavola Rotonda), che
naturalmente poi gli artisti di Osaka rivoltano a proprio uso per mischiare il fantastico con
l’improbabile e guarnire il tutto con una mattanza a base di scherma. Gran cosa.
Avalon e le sue annesse leggende ci avevano segnato l’adolescenza e adesso che
potevamo armarci di spadone e uccidere senza condizioni, e a cavallo anche,
ci veniva di erigere un monumento a Capcom con su scritto: “siete dei cialtroni,
ma vi amiamo per questo”. I tre protagonisti della storia (chiamiamola così)
sono nientemeno che Artù, Lancillotto e Perceval. La loro missione è di
recuperare il
Santo Graal e restituire prosperità all’Inghilterra. Più o meno. In verità
urge al più di infilzare qua e là e performare, all’occorrenza, le mosse
super extra che i prodi cavalieri si portano in dote, da che dopo gli eccessi di
Magic Sword
non era certo il caso di andare sul risparmio.
Si doveva equalizzare assolutissimamente il
co-op esteso a tre giocatori di
King of Dragons
e, una volta fatto, dare ai cani da sala beat
’em
up a scorrimento operante a tecniche di scherma in virtù delle
quali i Lancillotti potessero dimostrare velocità e dinamismo, i Perceval
claudicanze e allo stesso tempo ultraviolenze e i Re Artù
vie di mezzo utili pure qualora che ci si stesse cimentando in singolo, per
contentare la mediezza di chi si trovasse lì per volontà del caso. Ma è un
discorso di simbiosi. Di sincronizzarsi alle combinazioni bitasto del
superbello opzionato e massimizzarne il potenziale attingendo a elementi quali ricariche energetiche
e scrigni del tesoro, acché
diventi magari fattibile realizzare un tipo di progressione non così adempiente gli standard di
ostilità della Capcom formato arcade che all’inizio ti faceva credere che il
videogioco era semplice e un minuto più tardi festival del dolore. Accade allora
che agendo a ricovero tempestivo verso di eventuali viandanti caduti in
un’imboscata da parte dei felloni ci vengano erogati benaccetti tributi
sotto forma di baguette allunganti le aspettative di vita.
Ci sta variazione, in Knights of the Round.
Arriva il destriero, che si dovrà montare come a comando di una brigata, per
vedere il sistema di controllo evolvere in accordo, col tasto del salto che
viene deputato al cambiamento direzionale e quello di attacco al disarcionamento
dei cavalieri su terra ferma. Quindi, oltre che logistici, i benefici
conseguenti l’ottenimento del quadrupede ritornano concreti, se si sa come
giostrare, impiegare il mezzo in misura d’ariete. Sette quadri. A presidio di
ognuno attende l’immancabile guardiano che, allorché sconfitto e prima di
liberare accesso, tende a elargire confezioni. Il boss dell’ultimo livello
lo hanno chiamato Garibaldi. Premiabili tecniche. Il sapere della Capcom grande
esperta di medioevi mette su schermo un affresco di pseudonarrative di
inattaccabile vigoria a funzione di
caratterizzazioni, che sono generalmente riuscite per quanto non esattamente
attinenti alla visioni boormaniane, stante tale Lancillotto effemminato
alquanto, e si continua a guardare con ammirazione a questo mettere in scena
simultaneo delle guerre, i guerrireri che tirano di
spada e i fuochi, mentre che la battaglia infuria dentro ai villaggi,
dettagli che magari ti eri perso come l’animazione delle pale dei mulini ad
acqua. Hanno orchestrato un suono di canti e ballate evocanti lo strimpello e i
racconti di ventura della ciurma in cerca di redenzione e santità. E
l’insieme funziona. Ché accondiscendere a questa Capcom che ritorna a bomba ai
contesti fiabeschi dei videogiochi con cui siamo cresciuti è il minimo che
possiamo fare, se no tanto vale mollare il joystick e iniziare a scrivere.
Ah no, aspetta.
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